2015-06-04 13:17:00

L’Iraq invoca l’aiuto internazionale per sconfiggere l’Is


L’Iraq chiede il sostegno del mondo intero contro il sedicente Stato Islamico che ieri ha chiuso la grande diga di Ramadi privando di acqua intere zone della provincia di Anbar. Oggi ancora raid della Coalizione internazionale, con decine di vittime, anche in Siria dove il fronte Al Nusra, il braccio di al-Qaeda nel Paese, ha dichiarato illegittimo l’Is. Massimiliano Menichetti:

"Chiediamo che il mondo si schieri a nostro sostegno, perché combattendo l’Is stiamo difendendo l'intera umanità”. Così ieri a Montecitorio ricevuto dalla presidente della Camera Laura Boldrini, il Presidente del Consiglio dei rappresentanti della Repubblica dell'Iraq, Salim Al-Jubouri. Il leader ha ricordato le difficili condizioni in cui vive il popolo iracheno sottoposto alla continua minaccia da parte di Daesh, il sedicente Stato Islamico. Ieri i Jihadisti hanno chiuso le condotte della grande diga di Ramadi abbassando e deviando il letto del fiume Eufrate. Si teme che i miliziani usino il corso prosciugato per nuove incursioni, comunque è già allarme unitario nella  provincia di Anbar, senza acqua i villaggi di al Habbaniyah e al Khalidiya. Sul fronte governativo esercito e milizie sciite avanzano verso Samarra con l’obiettivo anche di riconquistare la strada che conduce a Fallujah, roccaforte jihadista proprio nella provincia di Anbar. A Baghdad una serie di attentati hanno ucciso ieri 11 persone, decine i feriti. 22 i raid aerei della Coalizione, in meno di 24 ore, tra Iraq e Siria, decine le vittime. E sono oltre 10mila i jihadisti che hanno perso la vita, secondo fonti militari, in 9 mesi d’incursioni. Comunque rimane incandescente la situazione in Siria dove gli scontri ora sono concentrati nord est del Paese.

Per un'analisi della situazione abbiamo intervistato l’analista politico Matteo Bressan coautore del libro “Libano nel baratro della crisi Siriana” edito da Poiesis:

R. – Stiamo assistendo alla disgregazione di quei Paesi nati con l’Accordo Sykes-Picot, alla fine della I Guerra Mondiale, che hanno avuto le loro storie particolari con vari regimi - penso all’Iraq di Saddam Hussein, penso alla Siria di Assad – e che oggi si stanno disgregando. Ritengo che questo sia un processo molto pericoloso, perché probabilmente avremo una frammentazione che potrà anche portare alla nascita di nuove entità e di fatto lo Stato Islamico è l’aggregatore - sostanzialmente l’epicentro – di questo fenomeno: lo Stato Islamico ha cancellato le frontiere e dalla sua proclamazione – lo scorso giugno – ad oggi non si è visto affatto un ritiro delle posizioni dello Stato Islamico.

D. – Quali le cause di questa situazione?

R. – In primo luogo il fatto che la coalizione internazionale si sia limitata ad una serie di operazioni dall’aria e che quindi fatto interventi di terra non siano stati attuati. Sul campo ci sono stati i curdi, le milizie iraniane in Iraq e in Siria e gli hezbollah libanesi. Stiamo parlando ovviamente di due soggetti, volendo accumulare ovviamente gli hezbollah libanesi all’Iran, che rispetto alla coalizione hanno obiettivi tattici probabilmente in comune, ma certamente non strategici: in Siria le operazioni di iraniani e di hezbollah non coincidono con la coalizione che vorrebbe la rimozione di Assad. Secondo punto le debolezze del governo iracheno: il governo iracheno non garantisce la sicurezza e non ha la credibilità della comunità sunnita e quindi ancora lo Stato Islamico è visto come una opportunità.

D. – Ma la presenza di eventuali truppe di terra di una coalizione internazionale non potrebbe essere un altro aggregatore per le forze dello Stato Islamico?

R. – E’ verosimile che un intervento di terra può offrire degli aspetti anche – se vogliamo – di propaganda utile allo Stato Islamico; ma è altresì vero che ad oggi lo Stato Islamico in Iraq sta continuando ad avanzare e in Siria si sta registrando una impennata delle capacità militari dello Stato Islamico e – questo è un aspetto collegato alle vicende libanesi – è in atto uno scontro fortissimo nella regione del Qalamoun, a ridosso del confine tra Libano e Siria, tra hezbollah e le milizie sia dello Stato Islamico che di al-Nusra. Un focolaio pericolosissimo, ma che ci fa capire come in questo momento hezbollah stia tenendo in vita i collegamenti di Assad tra Damasco e la costa in previsione anche di uno smembramento della Siria, perché ormai non possiamo più negarcelo: lo Stato Islamico controlla enormi porzioni di Siria, altre porzioni di Siria sono nelle mani e semi gestite dai curdi. Quindi lo scenario è che, in assenza di un intervento di terra, non si è riusciti a fermare questa realtà.

D. – In Iraq la situazione è del tutto frammentata ed è un terreno di guerra continuo. Dal Paese si chiedono armi e aiuto alla Comunità internazionale per fermare l’Is. E’ una strategia possibile?

R. – E’ una strategia che non ha funzionato! E’ questo il dramma: quando lo scorso anno, le forze irachene si sono dissolte come neve al sole, l’esercito iracheno aveva un arsenale importante e mezzi importanti che erano stati forniti dagli americani. L’esercito iracheno non ha combattuto! La precedenza amministrazione del premier Maliki e l’attuale presidente al-Abadi non hanno creato le condizioni affinché tutte le comunità dell’Iraq si sentissero rappresentante. Se non si risolve questo, che è un problema squisitamente politico, è difficile avere delle forze armate in grado di fronteggiare lo Stato Islamico.








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