2015-06-04 11:24:00

Card. Parolin: Francesco a Sarajevo per promuovere pace e dialogo


"La pace sia con voi”: è il motto dell’ottavo viaggio apostolico internazionale di Papa Francesco che vedrà il Pontefice – sabato prossimo – a Sarajevo. In un fitto calendario di incontri, il Successore di Pietro incoraggerà i cattolici della Bosnia ed Erzegovina e porterà un messaggio di pace e di riconciliazione. Sul significato di questa visita, Barbara Castelli del Centro Televisivo Vaticano (Ctv) ha intervistato il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato Vaticano:

R. - Lui intende prima di tutto incoraggiare i fedeli cattolici che vivono in Bosnia ed Erzegovina; e poi, suscitare fermenti di bene in quella terra e promuovere tutto quello che favorisce l’amicizia, la fraternità, il dialogo interreligioso fra le varie componenti del Paese; e la pace. E’ interessante notare – mi soffermo un po’ su questo – che questi temi sono ripresi sia dal logo, sia dal motto di questo viaggio. Nel logo vediamo una colomba, che tiene nel becco il ramoscello della pace; poi c’è la croce, che al suo interno ha un triangolo, che richiama – in modo stilizzato – i confini della Bosnia; i colori sono quelli della bandiera del Paese; e poi c’è un richiamo anche alla comunità cattolica, che è composta in maggioranza da croati. E il motto: ‘La pace sia con voi’, il saluto di Gesù risorto ai suoi apostoli. Il Papa va in quella città che San Giovanni Paolo II ha definito la ‘Gerusalemme d’Europa’ come pellegrino di dialogo e di pace.

D. - Sono note purtroppo a tutti le vicende di guerra e di morte della Bosnia ed Erzegovina. Qual è il Paese che oggi accoglierà Papa Francesco?

R. - Si è tenuto e si tiene poco in conto di quelle che sono state le conseguenze della guerra che ha interessato la Bosnia e l’Erzegovina. Le conseguenze della guerra si sono fatte sentire soprattutto sulla comunità cattolica, che praticamente – dagli inizi degli anni Novanta ad oggi – si è quasi dimezzata: da 800 mila a 400 mila persone. Ormai in alcune parrocchie non restano che poche famiglie, e soprattutto anziani. Oggi si registra soprattutto il fenomeno dell’emigrazione dei giovani, causata dalla disoccupazione, dalla mancanza di lavoro e dalla ricerca di prospettive migliori in altri ambienti. E poi c’è anche un generale calo della demografia, che colpisce in maniera particolare la comunità cattolica. C’è poi una complessità nella struttura politica di questo Paese, che è frutto degli Accordi di Dayton, una complessità che si manifesta nella convivenza di tre etnie costitutive: quella dei bosniaci, quella dei serbi e quella dei croati e che – a livello di strutture – si esprime attraverso la convivenza di queste tre realtà che sono da una parte la Federazione Bosniaca, la Repubblica Srpska e il Distretto di Brčko. Il prossimo dicembre si ricorderanno i 20 anni dalla fine della guerra; però questa guerra continua ancora a lasciare le sue tracce, le sue ferite. Comunque, tutti aspettano il Papa con tanta ansia e con tanta speranza, e davvero confidano che lui potrà aiutare a fare della Bosnia ed Erzegovina una casa accogliente per tutti i suoi abitanti.

D. - Qual è nel dettaglio la situazione della Chiesa? Quali sono gli orizzonti di intervento più impellenti?

R. - La Chiesa, pur tra le difficoltà, continua a svolgere la sua missione, a compiere la sua missione di annuncio del Vangelo e di carità nei confronti di tutte le persone. Ecco, io credo che possiamo riferirci fondamentalmente alle indicazioni che sono state date dal Papa stesso nel marzo scorso durante la visita ‘ad Limina’ dei vescovi della Bosnia ed Erzegovina. Il Papa ha detto loro soprattutto: ‘Aiutate i poveri, aiutate i deboli, mettete in atto tutto quello che è possibile per far sì che la gente, soprattutto i giovani, non lascino il Paese, rimangano nel Paese; quindi, che si creino le condizioni anche di occupazione, soprattutto, e di sicurezza sociale per cui incontrano un presente e soprattutto un futuro. E poi, siate presenti nella società: siate presenti nella società con la freschezza del Vangelo’. E quindi, sempre, qui, una maggiore attenzione ai giovani, un’attenzione al clero … insomma, una Chiesa che sia fermento vivo nella società, anche se è una società complessa e per certi versi difficile.

D. - Ancora un viaggio all’insegna della pace e della convivenza tra i popoli, mentre nel mondo – purtroppo – si allargano i confini dei conflitti, spesso portati avanti in nome della religione. E’ possibile individuare la radice del problema? Oltre agli interventi più immediati, cosa si può fare per risolvere la questione per il futuro?

R. -  Per quello che riguarda la Bosnia ed Erzegovina vorrei sottolineare un altro aspetto, che mi pare di grande importanza, e cioè la necessità di realizzare una sostanziale uguaglianza tra tutti i cittadini e tra tutte le fasce sociali, culturali e politiche che compongono il Paese, in modo tale che tutti si sentano a pieno titolo cittadini con la loro identità specifica, indipendentemente dal numero. Questa credo che sia una condizione, per quanto riguarda la Bosnia ed Erzegovina, che potrà senz’altro aiutare la pace. E naturalmente questo, con l’aiuto anche della comunità internazionale, che è presente nel Paese a livello di organizzazioni internazionali, potrà favorire anche le naturali aspirazioni della Bosnia ed Erzegovina di integrarsi nell’Unione Europea. In questo senso potrebbe diventare un esempio anche per quelle tante situazioni che oggi esistono nel mondo dove non si riesce a coniugare e ad accettare le diversità, che diventano motivo di conflitto e di contrasto e di contrapposizione, invece che di ricchezza reciproca. Quindi, speriamo che questo viaggio del Papa non solo contribuisca al bene e al miglioramento della situazione in quel Paese, ma che sia anche un invito a tutti gli uomini e a tutti i Paesi a ritrovare le ragioni della pace, della riconciliazione e del progresso, umano, spirituale e materiale.








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