2015-06-02 14:15:00

Ong di varie confessioni ripetono: non si uccide in nome di Dio


Negli odierni conflitti, spesso la religione viene ritenuta esserne la causa. Per sconfiggere l’idea che si uccida “in nome di Dio”, l’Ordine di Malta ha organizzato all'Onu di Ginevra nei giorni scorsi un Simposio, "Religions together for humanitarian action", chiamando a partecipare Ong di varie confessioni. Un appuntamento importante in vista del "World Humanitarian Summit", l’iniziativa lanciata dal segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, che si svolgerà a Istanbul nel 2016 e dove verranno presentate le linee guida e le raccomandazioni emerse durante il dibattito a Ginevra. Il servizio di Francesca Sabatinelli:

Sempre più vittime civili, sempre meno rispetto del diritto umanitario internazionale. Sono i tratti caratteristici dei conflitti dell’era attuale: le guerre oggi sono segnate da una straordinaria ferocia e da una complessità che spesso viene semplificata dando erroneamente alla violenza una radice religiosa, quando all’origine invece non mancano fattori culturali, territoriali, e pressioni esterne. Le organizzazioni umanitarie confessionali sono uscite da Ginevra rafforzate nella convinzione di volersi unire per sconfiggere il settarismo nel mondo, per promuovere un senso di pluralismo e di rispetto per gli altri. Jamilah Mahmoud a capo del segretariato del "World Humanitarian Summit" del 2016:

The faith base organizations form a very large…
"Le organizzazioni religiose rappresentano gran parte delle organizzazioni che effettivamente rispondono durante le crisi. A offrire assistenza sono le chiese locali, i templi e le moschee. Penso che non si capisca mai davvero quanto sia importante l’influenza di queste organizzazioni, che sono in prima linea nel dare una risposta umanitaria. E si sottovaluta anche l’azione di queste organizzazioni religiose a sostegno del dialogo, dell’apertura, di una migliore comunicazione interconfessionale, aperta anche ad altri attori. La realtà del mondo di oggi, nel nostro periodo storico, è davvero molto buia. E la fede si suppone che unisca, che dia solidarietà e pace. Alle volte viene usata male, per la guerra. E penso sia molto importante che le persone di fede comincino ad affrontare questa cosa. Quindi, quando andremo al Summit di Istanbul, nel maggio 2016, forse ci saranno organizzazioni religiose che saranno alleate, che faranno rete, e che impareranno l’una dall’altra, in modo da arrivare alle persone che sono più difficili da raggiungere. Sono molto fiduciosa. Lavoro sul campo da tanti anni ed effettivamente le organizzazioni religiose possono avere accesso alle persone. Non è importante tanto che le persone condividano la stessa fede, ma che abbiano fiducia, e ce l’hanno".

Per Oliver McTernan, autore del libro “Violenza nel nome di Dio”, fondatore e direttore di “Forward Thinking”, associazione britannica impegnata anche nel dialogo interreligioso, non si possono però trascurare i fattori di rischio legati all’attività di organizzazioni confessionali:

R. - I think the risk is that if the faith…
Penso che il rischio sia che gli interventi basati sulla religione possano essere fraintesi, che la gente ci legga un modo per fare proselitismo, o per rafforzare la propria presenza nel Paese, invece di aiutare la popolazione dal punto di vista umanitario e questo può alimentare il rischio di ulteriori conflitti. Ma non è un rischio insormontabile, si può vincere. Non bisogna dare per scontato che le persone capiscano tutte le nostre motivazioni o quale sia il nostro scopo, occorre spiegare il motivo per cui si fanno determinate cose. Tutte le attività devono essere basate sulla persona, mettendovi la persona, l’essere umano, al centro. Penso che questo sia fondamentale per evitare quel rischio di cui si parlava.

D. - Molti conflitti sono portati avanti in nome di Dio. È così difficile spiegare alle persone che Dio non è guerra?

R. - You know, I think it is true to say…
Credo sia giusto dire che quando ci sono conflitti, la religione può essere un fattore. Diverse tradizioni di fede, il settarismo, possono essere delle reali motivazioni. Nella mia esperienza, guardando ai differenti conflitti non ho mai visto la religione come solo fattore di una guerra, sia che si parli dell’Irlanda del Nord che dell’Iraq. Penso ci sia anche, in questi conflitti, dove c’è una grande dimensione religiosa e settaria, un rancore alla base. Spesso la religione, infatti, viene identificata con la propria identità, o comunque ne è spesso parte. Ecco perché senti che il tuo gruppo, la tua etnia o il tuo gruppo di fede è stato discriminato. Quindi, è comprensibile che chi sta al di fuori veda solamente la religione come la maggiore causa scatenante, dove invece la causa è effettivamente il rancore, e la religione è solo una parte di tutto ciò. Questo è il motivo per il quale dobbiamo fare delle distinzioni. E io sono molto d’accordo circa l’importanza dell’educazione religiosa, come strumento per aiutare le persone a capire meglio la loro fede. Questa è una responsabilità che hanno tutti i leader religiosi.








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