“Profondamente preoccupati”: così si dicono i vescovi del Canada, in una lettera inviata al ministro della Giustizia e procuratore generale del Paese, Peter MacKay, riguardo al suicidio assistito. Nella missiva, siglata da mons. Paul-André Durocher, presidente della Conferenza episcopale locale, i presuli ricordano la decisione presa il 6 febbraio scorso dalla Corte suprema canadese che ha autorizzato il suicidio assistito. In particolare, le toghe canadesi hanno stabilito che i malati incurabili, ma non necessariamente in fase terminale, potranno scegliere volontariamente la morte. La possibilità è estesa anche a chi è affetto da patologie psichiche. La sentenza della Corte ha valore per un anno, il tempo necessario a preparare un’apposita legge attuativa.
Una sentenza che mina il valore della vita umana
E proprio in vista della nuova normativa, il governo federale ha indetto anche una
consultazione popolare, decisione che i vescovi “accolgono favorevolmente”. “La Chiesa
e la Conferenza episcopale canadese – si legge nella missiva – sono profondamente
preoccupate per la decisione della Corte suprema”. Ricordando, infatti, che “il giuramento
di Ippocrate obbliga i medici a proteggere i pazienti da ogni male e da ogni ingiustizia,
a non somministrare veleni o a prendere iniziative simili”, i vescovi di Ottawa sottolineano
che “la sentenza dei giudici mina non solo la stima che la società ha riguardo alla
vita umana, ma anche la fiducia di tutte le persone, soprattutto delle più vulnerabili,
nei confronti dei medici e delle istituzioni sanitarie preposte alla tutela della
vita”.
Non si può violare diritto alla salute sancito dalla Costituzione
Non solo: un ulteriore problema, prosegue la missiva, è rappresentato dal fatto che
ora il Parlamento dovrà trovare “il modo per impedire che questa sentenza della Corte
leda il diritto alla salute sancito dalla Costituzione”, proteggendo anche – e ciò
rappresenta, dicono i presuli, “un bisogno urgente” – tutti gli operatori sanitari
che si troverebbero costretti a fornire o a sostenere il suicidio assistito”. La Chiesa
canadese, poi, ricorda che “i cattolici hanno un impegno ed una partecipazione indefettibile
nel campo delle cure sanitarie” e infatti “in questo ambito, il Paese beneficia di
molti servizi forniti da istituzioni cattoliche, così come gran parte degli ospedali
derivano dal lavoro di comunità religiose cattoliche e risalgono alle origini del
Paese”.
Tutelare libertà di coscienza degli operatori sanitari
Ma anche “nelle strutture non cattoliche”, evidenziano i presuli, “si trovano operatori
sanitari che appartengono alla Chiesa cattolica”. Di qui, il richiamo alla “compassione
per i malati, i moribondi e le persone vulnerabili dal punto di vista economico e
sociale”, le quali “sono al centro dell’opera di misericordia della Chiesa”. “Profondamente
turbati dalla decisione della Corte suprema”, dunque – preoccupazione condivisa con
“altre comunità confessionali” – i vescovi cattolici chiedono al ministro della Giustizia
di “essere inseriti tra gli organismi che saranno consultati dal governo canadese
nell’ambito della valutazione di una nuova legge sul suicidio assistito”, sia “per
assicurare che tale normativa tuteli la vita e la salute di tutti, nella maggior misura
possibile”, sia “per garantire che essa offrirà, allo stesso tempo, la totale tutela
del diritto e della libertà di coscienza degli operatori sanitari”.
La Chiesa non sia esclusa dal dibattito pubblico
Inoltre, i presuli chiedono di essere informati sulla data di inizio e le modalità
di svolgimento dell’annunciata consultazione popolare, così da “poter partecipare
al dibattito”. L’obiettivo, conclude la missiva, è quello di “aiutare il Paese a reagire
ad una delle decisioni più inquietanti della Corte suprema”. (I.P.)
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