2015-05-23 08:08:00

Siria: ignota la sorte di Padre Mourad. Timori per l'avanzata dell'Is


Cresce il timore per la sorte Padre Jacques Mourad, sacerdote siro-cattolico rapito due giorni fa in Siria dal monastero di  Mar Elias a Qaryatay. Di pari passo è sempre più preoccupante l’avanzata del sedicente Stato Islamico in Siria e Iraq, con i jihadisti che minacciano di acquistare la bomba atomica. E alcuni governi chiedono di rivedere la strategia d’intervento della coalizione internazionale. Il servizio Marco Guerra:

A due giorni dal rapimento di Padre Jacques Mourad, non si hanno notizie certe da chi sia stato prelevato, da quale gruppo sia trattenuto e per quali scopi. Tuttavia secondo gli attivisti siriani il religioso,  appartenente alla stessa comunità di padre Dall’Oglio, sarebbe stato rapito dai jihadisti dello Stato Islamico. Una tesi avvalorata dai un messaggio postato sul web dallo stesso padre Mourad il giorno prima del sequestro, in cui il sacerdote esprime timori per l’avanzata dell’Is. Stato Islamico che nell’offensiva delle ultime settimane ha preso diverse porzioni di territorio sia in Siria che Iraq. Palmira, nel deserto siriano, il valico di frontiera di al Tanaf, più a sud, e Ramadi, capitale della provincia irachena di al-Anbar. Da queste zone trapelano notizie delle ormai consuete efferate esecuzioni sommarie di soldati governativi e semplici cittadini. E mentre jihadisti dell’Is rivendicano anche l’attacco ad una moschea sciita in Arabia Saudita, costato la vita a 21 persone, nell'ultimo numero della loro rivista, Badiq, sostengono di avere così tanti soldi da  poter comprare una bomba atomica. Uno scenario che preoccupa molte cancellerie europee che chiedono agli Usa di rivedere la strategia dell’intervento militare. Se ne parlerà al vertice del 2 giugno a Parigi.

 

Sul rapimento di padre Jaques Maourad, Cecilia Seppia ha sentito mons. Mario Zenari, nunzio apostolico a Damasco:

R. – Padre Jacques Mourad è un sacerdote siro-cattolico dell’arcieparchia di Homs ed è anche monaco della comunità di Mar Musa, la comunità di cui è fondatore padre Paolo Dall’Oglio. Quando è stato sequestrato era dal monastero di  Mar Elias a Qaryatay, una località a circa 140 km a nord-est di Damasco, e non si sa dove lo abbiano portato. So che quelli della sua comunità di Mar Musa si sono subito attivati per fare quello che è possibile fare in questi casi, ricorrendo ad influenti autorità religiose del luogo, come pure ad autorità militari che sono nei dintorni.

D. – Lei conosce personalmente padre Jacques Mourad, quindi immagino anche la preoccupazione forte, l’apprensione di queste ore?

R. – Lo conosco molto bene, personalmente. E’ un ottimo sacerdote, di profonda spiritualità e di grande carità: sostiene dei progetti di assistenza umanitaria a tutte le persone, sia cristiane che musulmane. Quella zona dove si trova, ormai da qualche anno, è una zona complessa: ci sono diversi gruppi armati. Da quello che so, però, padre Jacques Mourad era molto stimato da tutti - sia dai cristiani che dai musulmani – per la sua apertura, la sua carità, e aveva cercato anche di mettere pace in questa zona, la zona di Qaryatay, cercando di far dialogare le varie parti in contrasto le une con le altre. Voglio sperare che sia presto rilasciato. Non sappiamo - almeno finora non si sa niente – né da chi sia stato prelevato, da quale gruppo, né per quali scopi.

D. – Ricordiamo anche che padre Mourad al momento del rapimento stava lavorando per predisporre la sua parrocchia ad accogliere i profughi che arrivano da Palmira, caduta ormai nelle mani dello Stato Islamico. Ma questo triste evento ci porta anche a ricordare gli altri ecclesiastici rapiti in Siria…

R. – Sì, vorrei ricordare i due vescovi ortodossi, per i quali sono passati già due anni, un mese fa, e i tre sacerdoti, tra cui padre Paolo Dall’Oglio. Questo sarebbe il sesto ecclesiastico scomparso, sequestrato. Vorrei anche dire in questa occasione che questi sei ecclesiastici, ottimi ecclesiastici, rientrano nel numero di quelle circa 20 mila persone che, nel corso di questi quattro anni, sono scomparse e di cui non si sa nulla. In gran parte sono siriani, ma c’è anche qualche straniero. E’ una sofferenza enorme, quindi, per tantissime famiglie, e questi 20 mila vanno ad aggiungersi poi alle vittime, ai morti e a tutto quello che è successo in questi ultimi quattro anni di questo terribile conflitto.

D. – A tal proposito, il presidente Obama ieri ha detto che non ha intenzione di cambiare strategia: la comunità internazionale continua con l’opera diplomatica. Ma secondo lei, c’è bisogno di un cambio di passo per la Siria, per l’Iraq, per quello che sta succedendo in quell’area?

R. – Credo che tutti si trovino a corto di idee e di programmi. Questo conflitto, che è sorto come un conflitto siriano, è andato coinvolgendo sempre più tutti i Paesi dell’area. Lo paragonerei ad uno scacchiere, il cui gioco può avere degli effetti domino devastanti in tutta la regione. Pensiamo al tormento, al ciclone che ha colpito l’Iraq, che ha colpito lo Yemen ed altri Paesi nella zona. E’ quindi, una cosa molto complessa, complicata. Occorre che la Comunità internazionale raddoppi gli sforzi e le strategie.

D. – All’udienza generale il Papa ha ricordato nuovamente l’appello per i cristiani, i perseguitati, e ha ribadito la necessità in Siria, in particolare nel contesto del Medio Oriente, di non fomentare la violenza. Come sono accolti questi appelli?

R. – Siamo molto, molto riconoscenti per tutti questi appelli, direi anche molto concreti, del Santo Padre Francesco. E spero che abbiano un seguito, che possano produrre dei frutti. C’è bisogno di fermare il flusso di armi e cominciare un’opera di riconciliazione. E i cristiani qui credo abbiano una missione particolare: di aiutare e fare da ponte tra le varie contrapposte posizioni e fazioni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 








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