2015-05-23 14:17:00

L'Is avanza in Siria e Iraq. I jihadisti: compreremo atomica


Cresce la preoccupazione per padre Jacques Mourad, sacerdote siro-cattolico rapito due giorni fa in Siria da uomini armati. Intanto preoccupa l’avanzata del sedicente Stato Islamico (Is) in tutta la regione. I jihadisti sono riusciti ad entrare nel museo archeologico di Palmira, dopo aver occupato la città siriana, mentre il governo iracheno di Baghdad ha annunciato una contro-offensiva su Ramadi, in mano alle milizie dell’Is. Infine, fonti dei miliziani sostengono di avere la possibilità di acquistare ordigni atomici in Pakistan. Per un’analisi di questo scenario Marco Guerra ha intervisto Alessandro Politi, analista politico e strategico:

R. – Innanzitutto, non c’è più la Siria e l’Iraq, c’è il “Siraq”: è uno spazio completamente diverso, perché entrambi i Paesi sono in realtà dilaniati da una guerra civile e i governi centrali hanno un potere di controllo molto ridotto. Allora, più che la potenza di fuoco dell’Is, va vista la debolezza dei loro avversari; e, dove c’è un vuoto, è chiaro che qualcuno lo riempie. A Ramadi non è stata opposta una resistenza significativa e nemmeno a Palmira - che è anche peggio - ma il governo siriano non ha voluto cercare aiuti da altre parti, anche per provare a guadagnare dal punto di vista dell’immagine; e quindi ha mollato una cosa che - effettivamente - da un punto di vista puramente militare-strategico è irrilevante, ma dal punto di vista simbolico non lo è. Quindi l’Is sta sfruttando i suoi successi per avere nuove reclute, sebbene prima aveva conosciuto una seria battuta d’arresto. A Kobane, che pure era un luogo simbolico e strategicamente importante, l’Is ha perso. In altri posti era stato fermato; si è evidentemente riorganizzato, perché la guerra è una faccenda dinamica e quindi adesso di nuovo usa la sua relativa maggiore forza, su una relativa - molto più grande - debolezza.

D. - Indiscrezioni trapelate dal Dipartimento di Stato Usa parlano di un’armata senza precedenti, più forte e numerosa dei mujaheddin in Afghanistan ai tempi dell’Unione sovietica…

R. – Più che la quantità di persone, quello che è importante è la capacità di attrazione che questi successi hanno. Il successo genera successo, però dobbiamo sempre pensare che l’Is è un’entità che vuole stabilire un controllo territoriale: quindi, quelli che potremmo chiamare gli “attentati fuori sede” sono strettamente funzionali a quest’obiettivo. Al-Qaeda non aveva bisogno di un controllo territoriale in linea di principio: aveva bisogno di una serie di atti terroristici per far passare dei messaggi politici. L’analisi politica dell’Is è completamente diversa ed è: “No, vogliamo creare un nuovo Stato” - lo Stato Islamico, come diciamo noi - e per di più “vogliamo una realtà territoriale che scardini le vecchie frontiere degli accordi Sykes-Picot intorno alla Prima Guerra Mondiale”.

D. – Quali sono le principali falle della strategia occidentale a guida Usa? Un intervento che sembra aver sortito pochi effetti…

R. – Nonostante tutti i meravigliosi progressi tecnologici, l’aeronautica, da sola, molto difficilmente vince le battaglie. Anche perché gli avversari non presentano delle strutture dense, ma si disperdono il più possibile, riducendo anche l’efficacia di strumenti avanzatissimi. La coalizione contro l’Is ha un capo africano in gamba, ma che non ha un suo portafoglio, un suo bilancio: segno che l’Is viene considerato un problema, ma non necessariamente un problema a cui dedicare la massima priorità. Questa è la cruda realtà dei fatti. Poi c’è la debolezza dei governi locali e a questa debolezza è estremamente difficile rimediare, anche con dei generosi interventi sul posto.

D. – Ci sono le notizie su una bomba atomica che lo Stato Islamico potrebbe acquistare in Pakistan… Queste minacce quanto vanno prese sul serio?

R. – Queste minacce possono essere naturalmente liquidate come una battuta, ma in realtà sono operazioni di “psy-ops”: guerra psicologica per agitare non tanto le opinioni pubbliche - che alla fine hanno problemi ben più concreti a cui guardare, come la disoccupazione, debiti, usura - ma per impressionare le élite occidentali. Si sa benissimo che questa è una guerra psicologica, però questa è un’azione che serve ad aumentare il profilo dei terroristi.








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