2015-05-20 13:26:00

Rohingya, sì all'accoglienza da Malesia e Indonesia


Alla fine dell’incontro che si è svolto a Kuala Lumpur, i ministri degli Esteri malese Anifah Aman e quello indonesiano Retno Marsudi hanno comunicato la decisione di dare assistenza umanitaria ai 7.000 migranti bloccati in mare da alcune settimane. Un accordo che prevede di offrire a queste persone un rifugio temporaneo per un periodo massimo di un anno, al termine del quale dovranno trovare accoglienza in altri paesi o rimpatriare. Non rimane tuttora chiara la posizione della Thailandia, che ha partecipato all’incontro ma senza esprimere una decisione in merito. Federica Bertolucci ha intervistato Stefano Caldirola, docente di Storia contemporanea dell'Asia all'Università di Bergamo:

R.  – Ritengo sia un accordo frutto di un’emergenza umanitaria di cui si parla pochissimo, a livello globale. Noi abbiamo decine di barconi presenti nell’area delle acque territoriali di Thailandia, Indonesia, Malesia, ormai da mesi. Molti di questi profughi sono arrivati in condizioni disperate. Thailandia, Indonesia e Malesia per settimane si sono rimbalzati le barche, scortandole da un’acqua territoriale all’altra per evitare di accogliere i profughi. Vedremo cosa farà la Thailandia, perché il 29 maggio ci sarà una conferenza proprio su questo problema dei "boat people". Vedremo se anche la Thailandia aderirà a questo accordo di oggi.

D. – Non è chiara la posizione del governo thailandese. Perché? Come mai questi tre Paesi hanno adottato politiche migratorie così restrittive negli ultimi anni?

R. – C’è un’opinione pubblica piuttosto forte in Indonesia per quanto riguarda questi profughi, perché la maggior parte di loro appartengono all’etnia dei Rohingya, provengono dalla zona del Rakhine state in Myanmar e sono musulmani, una minoranza perseguitata all’interno del Myanmar. Ci sono stati "riot" molto duri che hanno lasciato 140 mila persone senza casa. Questo ha colpito molto l’opinione pubblica soprattutto in Malesia che è un Paese musulmano e di conseguenza molte voci si sono levate per andare a soccorrere i fratelli Rohingya. Il caso della Thailandia invece è diverso perché qui l’opinione pubblica non è molto propensa a simpatizzare per i Rohingya, oltretutto nella zona in cui i Rohingya sono presenti, cioè il sud della Thailandia: c’è una situazione ormai decennale di conflitto tra thai buddisti e thai musulmani. Il secondo motivo è che è scoppiato recentemente un grande scandalo in Thailandia quando si è scoperto che alcuni di questi profughi erano detenuti in campi in cui erano sequestrati dagli schiavisti thailandesi, che chiedevano alle famiglie rimaste in patria una sorta di riscatto per partire verso la Malesia.

D. – Il governo birmano ha affermato di voler dare un contributo alla soluzione della crisi umanitaria in atto. Pensa che questo sia un atto promettente?

R. – Bisognerà vedere, nel senso che i Rohingya sono, secondo le Nazioni Unite, una tra le minoranze maggiormente discriminate a livello globale. Il Myanmar non parteciperà a una conferenza Asean se verrà utilizzata la parola “Rohingya”, poichè che il governo birmano non riconosce questo popolo. Per la Birmania si tratta di bangladeshi (bengalesi) emigrati in Myanmar in epoche piuttosto recenti. Il governo dovrebbe impegnarsi a fondo, perché alla radice dei problemi c’è proprio il trattamento dei Rohingya in Myanmar.








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