2015-05-09 14:18:00

Sisma in Nepal: ancora molte zone non raggiunte dagli aiuti


7.904, questo il drammatico bilancio, ancora provvisorio del terremoto che il 25 aprile scorso ha colpito il Nepal. Lo ha reso noto il ministero dell'Interno di Kathmandu. I soccorritori non sono ancora arrivati in tutte le zone colpite dal sisma, come ad esempio nella regione impervia di Gorkha. Giancarlo La Vella ha raggiunto telefonicamente in Nepal Alberto Luzzi, volontario dell’associazione “Viva il Nepal”, che sta raggiungendo proprio quell’area:

R. – Francamente, abbiamo avuto sensazioni incredibili. Vedere la gente che stava tra le proprie macerie per recuperare le poche cose che sono loro rimaste, in una condizione di rischio pazzesco, perché tra l’altro molte delle case danneggiate non sono in sicurezza. Questo significa che con l’arrivo del monsone si assisterà a un’altra tragedia nella tragedia, perché le piogge andranno poi a infiltrarsi nelle case rimaste in piedi per metà con grande rischio per le famiglie che campeggiano sulle macerie. Siamo lì senza strumenti. Abbiamo visto i militari intervenire senza nemmeno i guanti: noi abbiamo fornito loro dei guanti… Quindi, la situazione è drammatica. Ci sono posti dove veramente è difficile…

D. – Ci sono ancora zone dove non è arrivato nessuno e voi state cercando di raggiungere proprio queste zone?

R. – Quelle zone sono sostanzialmente nella parte di Gorkha, nella parte dell’epicentro del terremoto. Ci sono dei punti per raggiungere i quali ci vogliono due-tre giorni di trekking. Io personalmente partirò volontario tra uno-due giorni con un’associazione di medici nepalesi. Però la situazione è difficile, perché questo terremoto ha sostanzialmente distrutto quasi 300 mila case e ne ha danneggiate un altro milione. Questo è un Paese poverissimo e non è attrezzato. Io credo che ci voglia, da parte della comunità internazionale, dei media, una maggiore attenzione perché siamo di fronte a una situazione difficile. E’ un Paese scioccato: non sanno da dove ricominciare…

D. – Gli aiuti che sono arrivati sono stati distribuiti equamente a tutta la popolazione?

R. – Il tentativo di soccorrere da parte di tutti c’è. Chiaramente, non c’è una logistica: qui non c’è una protezione civile. Lo Stato è embrionale. E’ un Paese che si è sviluppato da pochissimo, quindi la difficoltà è anche nel ricevere gli aiuti e spostarli. Da quello che vedo, qui ci sarebbe tantissimo bisogno di squadre di soccorso per un intervento di messa in sicurezza dei siti. Questo è quello che noi, nel nostro piccolo e con poca esperienza, stiamo cercando di fare. Andiamo, vediamo dove ci sono pareti pericolanti, cerchiamo di buttarle giù, cerchiamo di mettere in sicurezza alcuni tetti e lo facciamo in modo volontario, ma sinceramente, non vediamo – a parte la gente nepalese e ogni tanto dei militari che intervengono – noi non vediamo nessuno... Ci vorrebbe una mobilitazione generale da parte della comunità internazionale: meno parole e forse un po’ più di aiuti diretti all’interno del Paese.

D. – In questo dramma, sicuramente tanti miracoli, tanti sopravvissuti anche molti giorni dopo il sisma. Qual è un’immagine che porterai sempre con te?

R. – Ti dico: poco fa noi stavamo scavando e abbiamo visto una ragazza piangere insieme a una signora, probabilmente la mamma. Cercavano di scavare per trovare qualche cosa. Quindi siamo andati ad aiutarle. Io non sapevo nemmeno cosa stessi cercando: alla fine ho trovato dei documenti che probabilmente erano del papà e questa ragazza si è messa a piangere. Abbiamo visto occhi di gioia: piangeva di gioia ringraziandoci… Sono piccole cose nella tragedia, sono le piccole memorie che le persone si portano appresso. E quello che io temo è che l’arrivo del monsone cambi ulteriormente la situazione, la aggravi ulteriormente.








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