2015-04-28 11:51:00

Film su Cambogia e Corea protagonisti al Festival Far East di Udine


Al Far East Festival di Udine due film toccanti riflettono sulla storia dei rispettivi paesi: Cambogia e Corea del Sud. Per riconciliarsi con un doloroso passato, che ha segnato drammaticamente la vita di questi popoli e che oggi ancora preme sul presente. Il servizio di Luca Pellegrini:

Anche nella solidità di economie ruggenti o nella pax sociale ritrovata, possono far breccia fantasmi del passato e paure del presente. Due Paesi cercano la strada della riconciliazione al Far East Film Festival: la Corea del Sud e la Cambogia, con un debutto estremamente interessante. Sotho Kulikar è nata nel 1973 e cresciuta subendo gli anni spaventosi della dittatura dei khmer rossi. Ha perso in quel periodo il padre e proprio a lui ha dedicato la sua opera prima come regista, "The last reel - L'ultimo rullo". Sophoun e Veasna sono due ragazzi che flirtano in un luccicante parco giochi di Phnom Penh e poco sanno di quanto abbiano sofferto i loro connazionali. Ma alla ragazza accade qualcosa di straordinario: entra in un cinema mentre stanno proiettando, in una sala vuota, una vecchia pellicola, "La lunga strada verso casa", che però si interrompe, mancando appunto l'ultimo rullo. Scopre che ne è protagonista la madre, una star in ascesa che la rivoluzione deportò nei campi di lavoro. Da lì i legami familiari della ragazza svelano segreti e tradimenti, un melodramma familiare e storico che ha una sua originalità, perché è proprio attraverso una riflessione del cinema sul cinema, in una memoria collettiva di immagini e volti, che si fanno strada la verità e la denuncia. Un film dedicato ai registi e agli attori scomparsi, parte di quel milione e ottocentomila cambogiani sterminati dalla follia del regime che non risparmiò nessuna espressione culturale - oggi in Mesopotamia assistiamo ad analoghe scene di devastazione - e il cinema stesso: furono chiuse o bruciate tutte le sale, mentre dei 300 film prodotti prima dell'avvento dei khmer rossi se ne sono salvati appena trenta.

Anche la Corea fa un balzo indietro, negli anni segnati dalla guerra che ha portato alla divisione tra il Nord e il Sud. Duk-soo, il protagonista di "Ode a mio padre" del regista JK Youn, è un uomo che si è speso in tutto per la famiglia, nel ricordo del padre, perso nel drammatico giorno in cui la sua città natale, Hungnam, cadde nelle mani dell'esercito cinese. Nevicava, era il dicembre del 1950. Popolazione in fuga, esodo di massa, panico e morti. Anche la sorellina, prendendo d'assalto una nave americana, cade nei flutti. Il film racconta dell'infanzia affamata di Duk-soo, poi minatore in Germania negli anni '60, soldato in Vietnam, infine commerciante a Busan e nonno tormentato dal rimorso ai giorni nostri. Sempre nel ricordo di quella separazione e dell'attesa. Ma in un orizzonte nel quale il regista non risparmia di denunciare le ferite ancora aperte createsi all'indomani dell'armistizio del '53, con una guerra mai ufficialmente chiusa. E che le famiglie coreane subiscono, senza poter ancora intravederne una cura e la fine.








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