2015-04-27 08:00:00

Terremoto in Nepal. Oltre 3700 le vittime. La preghiera del Papa


Almeno 3.700 morti, oltre 6000 feriti. E’ l’ultimo bilancio del devastante terremoto che ha sconvolto sabato mattina il Nepal. Il Papa ha elevato la sua preghiera durante il Regina Caeli domenicale, insieme a tutti i fedeli riuniti in Piazza San Pietro:

“Prego per le vittime, per i feriti e per tutti coloro che soffrono a causa di questa calamità. Abbiano il sostegno della solidarietà fraterna e preghiamo la Madonna perché sia loro vicina”.

Intanto, mentre continuano a verificarsi scosse di assestamento, scatta la mobilitazione internazionale. Il servizio di Fausta Speranza:

In queste ore almeno 45 le scosse sopra i 4 gradi e mezzo sulla scala Richter e 15 quelle superiori a 6 gradi, dopo la scossa distruttiva di sabato. La causa del terremoto è stata la spinta della placca indiana a Sud, verso quella euro-asiatica a Nord. Lo sciame sismico, con un fronte di 150 chilometri, si sta spostando ad Est e, secondo gli esperti, proseguirà per settimane. La capitale Kathmandu e' una citta' fantasma, con la gente rimasta senza casa ammassata nei parchi, gli ospedali pieni. E colonne di fumo dovute alle pire sulle quali gli abitanti, in maggioranza induisti, hanno iniziato a cremare i cadaveri dei loro cari. Nei pressi del celebre tempio di Pashupatinath, in centinaia in fila per compiere i riti religiosi. Intanto la polizia ammette: non riesce ad estrarre dalle macerie i sopravvissuti perche' non dispone dei mezzi adatti. Lo dichiara un ispettore al Nepali Times spiegando che le squadre di soccorso dell'esercito in grado di farlo sono troppo poche per arrivare ovunque. C'è da dire che sta arrivando sostegno da diverse parti del mondo. Un aereo militare americano e' partito con 45 tonnellate di aiuti e personale di  soccorso. Dalla Gran Bretagna, 5 miliardi di sterline per l’assistenza immediata. La Farnesina fa sapere che è già partita una sua unità di crisi. Per intensificare le ricerche sui 4 speleologi italiani che risultano dispersi, per i 300 connazionali che attualmente si trovano in Nepal, per e per aprire la strada alla protezione civile che assicurerà team tecnici e sanitari.  

Sulla situazione reale del Paese, Roberta Barbi ha sentito Paolo Beccegato, vicedirettore della Caritas italiana e responsabile dell’area internazionale dell'organismo umanitario:

R. – Purtroppo la situazione è molto grave! Molti villaggi, soprattutto quelli più montagnosi, non sono ancora stati raggiunti, per cui c’è un lavoro piuttosto concitato di salvataggio di queste vite umane, logistico per raggiungere queste zone remote, per valutare i danni, e anche per quanto riguarda i feriti: molti sono feriti gravemente, per cui lo sforzo grande è anche quello del trasporto in ospedale. Molto spesso, ancora, va via la corrente elettrica e quindi non si può neanche comunicare…

D. – Si parla di oltre duemila vittime. Dopo la nuova forte scossa di oggi, il bilancio è destinato ad aggravarsi? Che speranze ci sono di estrarre ancora superstiti da sotto le macerie?

R. – L’esperienza dice che si possono estrarre superstiti anche a distanza di giorni… Però, per quanto riguarda il conteggio delle vittime, purtroppo c’è da pensare che non sia terminato. C’è anche il problema che molte persone alla nascita non vengono registrate all’anagrafe e quindi, anche lì, c’è sempre una valutazione generalmente sottostimata di quello che poi è il vero dato. Quello che conta in questo momento è il coordinamento degli aiuti e cercare di raggiungere tutte le zone colpite.

D. – Secondo l’esperienza della Caritas, di cosa ha maggiormente bisogno la gente in questo momento?

R. – In questa prima fase c’è il problema di far dormire le persone sostanzialmente al di fuori delle proprie case perché c’è una paura terribile, spesso ci sono attacchi di panico e il cosiddetto disturbo post-traumatico colpisce anche in questi casi, soprattutto i minori. Chi ha perso tutto deve essere certamente sostenuto da tutti i punti di vista, però anche quelli psicologici, quelli spirituali e una visione nella sua integrità.

D. – Arrivano anche notizie di ospedali sovraffollati: c’è un rischio concreto di epidemie?

R. – Questo è difficile da valutare in questo momento. Sono zone sostanzialmente fredde, montagnose e quindi ci sono dinamiche molto diverse rispetto ai contesti più caldi, più tropicali. Bisognerà valutare dopo se sono state contaminate alcune falde acquifere, e ci sono, appunto, problemi di contagio. In questo momento è troppo presto per poterlo dire.

D. – I danni al patrimonio artistico del Paese a lungo termine influiranno su una economia già tanto povera?

R. – Noi ci concentriamo soprattutto sulle persone, però non va sottovalutato questo elemento. In questo caso il danno al turismo e al patrimonio artistico, il danno – diciamo - culturale provocherà senz’altro delle conseguenze nel medio e lungo termine per queste zone del mondo già di per sé povere, che dovranno essere sostenute anche da questo punto di vista per il tentativo di ripristino di alcune strutture e del patrimonio artistico.








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