2015-04-23 14:56:00

Malawiani in fuga dal Sudafrica. P. Gamba: xenofobia sottovalutata


Marcia di protesta oggi a Città del Capo, in Sudafrica, promossa da una ventina di organizzazioni sociali, contro l’ondata di violenze xenofobe ai danni di lavoratori stranieri, esplose in particolare nelle ultime settimane nella città di Durban e Johannesburg. Una settantina le vittime dal mese di marzo. Gli immigrati in massima parte di altre nazionalità africane sono il 10% di una popolazione di circa 50 milioni di abitanti. In maggior numero arrivano da Zimbabwe, Nigeria, Mozambico e Malawi, Paese poverissimo, dove il governo sta provvedendo a rimpatriare i propri cittadini, perseguitati e a rischio di vita. Roberta Gisotti ha intervistato padre Piegiorgio Gamba, missionario monfortano, in Malawi:

R. – Il governo sta riportando a casa 3.200 cittadini del Malawi, ha organizzato 60 pullman che faranno andata e ritorno continuo finché non li avranno riportati tutti a casa. Vengono dai campi di raccolta dove hanno trovato rifugio, questi cittadini del Malawi, che si trovano a lavorare in Sudafrica da anni …

D. – Tra le cause che hanno scatenato la violenza, le dichiarazioni del Re della tribù degli Zulu, molto influente nella regione, che ha accusato gli immigrati di concorrenza sleale nel commercio, di rubare quindi il lavoro ai sudafricani …

R. – Sì, questo ha portato all’esplodere di un malcontento che rimane comunque, davanti ad un’economia forte, come quella del Sudafrica, che cresce, ma lascia fuori una grandissima parte di popolazione che rimane povera perché il Sudafrica in questo momento ha pochissimi ricchi, estremamente ricchi, ed una massa enorme di poveri, a cui il lavoro non sempre è garantito. La reazione di alcuni è stata di voler cacciare tutti quelli che non sono sudafricani. E il presidente del Sudafrica, Jakob Zuma, non ha avuto il coraggio di esprimersi contro il Re degli Zulu perché è del suo stesso clan, della sua stessa tribù. All’inizio sembrava una reazione da poter controllare. Lo stesso presidente diceva: “Non è ancora il momento di fare intervenire l’esercito”, mentre adesso l’esercito presiede questi centri dove la violenza è stata maggiore.

D. – Quindi si può prevedere che altri lavoratori malawiani scapperanno dal Sudafrica?

R. – Il Malawi non può fare a meno del Sudafrica. In modo particolare, quest’anno il Malawi ha sofferto una grandissima alluvione, a gennaio; oltre il 30 per cento del raccolto quest’anno verrà a mancare. Davanti a questa povertà, c’è la necessità di una condivisione maggiore, e la domanda che il Malawi si fa adesso è: “Sì, li riportiamo a casa per dare loro che cosa? Cosa offriamo a queste migliaia di persone che riportiamo a casa?”. E’ quindi necessaria la compartecipazione, l’arrivare ad un’unità di mercato sulla quale questi Paesi del Sud dell’Africa a livello ufficiale si sono accordati, ma che poi però si fa fatica a mettere in atto perché si scontra con una cultura e con interessi politici che tendono a dividere.

D. – Padre Gamba, sappiamo che la Chiesa del Malawi è preoccupata anche per possibili ritorsioni su sudafricani nel Malawi …

R. – E’ stato il primo messaggio della Commissione Giustizia e Pace: appena si sono sentiti questi echi di violenza c’è stato un intervento immediato, e subito noi abbiamo chiesto che non ci sia alcuna ritorsione, alcuna manifestazione di violenza perché altrimenti ci mettiamo allo stesso livello e il dialogo diventerà impossibile.








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