2015-04-22 14:15:00

Migranti: stampa africana critica immobilismo continente


L’ultimo disastro nel Mediterraneo e gli oltre 800 migranti morti nel tentativo di attraversarlo pesano anche sull’Africa. Questo il senso dell’impostazione data dal giornale senegalese ‘Le Quotidien’ agli articoli dedicati alla tragedia del Canale di Sicilia. “Il naufragio dei leader africani” titola infatti il quotidiano. Come riporta l’agenzia Misna, il giornale sottolinea “l’inerzia dell’Europa ma anche quella dei dirigenti politici dell’Africa, incapaci di risolvere i problemi di sicurezza, economici e sociali che spingono migliaia di persone a rischiare la vita in mare” nella speranza di un futuro migliore. Per una panoramica sulla stampa africana di questi giorni, Giada Aquilino ha intervistato Vincenzo Giardina, africanista della Misna:

R. - La stampa africana ha seguito le vicende degli ultimi giorni con attenzione, con ricostruzioni dei fatti e anche con editoriali. Un quotidiano del Burkina Faso, ‘L’Observateur Paalga’, per esempio, parlava di “speranza che l’Europa esca dal suo letargo”. Però - accanto ai riferimenti al vertice straordinario in programma domani in Europa, il vertice dell’Unione Europea - ci sono anche frequenti riferimenti ai fallimenti dei dirigenti politici dell’Africa. Ad esempio sullo stesso quotidiano ‘L’Observateur Paalga’, ma anche su ‘Le Quotidien’, giornale del Senegal: senegalesi sono alcuni dei sopravvissuti al naufragio avvenuto la notte tra sabato e domenica.

D. – Questi giornali in qualche modo hanno criticato l’inadeguatezza e l’inesistenza di politiche africane in tal senso?

R. – Assolutamente. Denunciano il fatto che i dirigenti africani “si lavino le mani”: questa è una delle espressioni che sono state utilizzate a fronte di tragedie prevedibili e continue. ‘Le Quotidien’ ha pubblicato un fotomontaggio in cui si vedono presidenti, capi di Stato che sembrano partecipare a un vertice africano in riva a un mare in tempesta e c’è un barcone colmo di migranti prossimo al naufragio. Quindi il titolo era: “Il naufragio dei leader africani”. Nelle ultime ore Denis Sassou Nguesso, il presidente della Repubblica del Congo, un presidente controverso che domina la scena politica del suo Paese dalla fine degli anni Settanta, ha messo in evidenza un elemento vero e significativo: cioè l’Unione Europea organizza vertici straordinari, mentre l’Unione Africana un vertice ancora non lo ha tenuto né prevede di tenerlo; quindi la mancanza di una risposta coordinata, forte, da parte di rappresentanti della politica africana.

D. – Ma quali sono i motivi dell’incapacità di risolvere i problemi di sicurezza, economici, sociali che sono alla base delle partenze?

R. – Accanto al tema dello sviluppo economico e sociale ci sono anche altri temi. Il Comitato per la protezione dei giornalisti, una organizzazione che ha sede negli Stati Uniti e che monitora il rispetto del diritto e del dovere di informare nel mondo, ha inserito - in una classifica pubblicata ieri - l’Eritrea, come Paese dove c’è più censura al mondo, cioè il Paese dove è più difficile esprimere liberamente le proprie idee. Spesso i migranti, anche quelli che hanno perso la vita nei giorni scorsi, provengono da Paesi non solo poveri, ma anche dove non c’è libertà.

D. – Ci sono quindi Paesi con i quali poi di fatto è impossibile interloquire, perché manca una struttura politica o di governo: in primis la Libia, ma ci sono poi anche altre realtà…

R. – Sì, appunto la regione del Corno d’Africa, quindi Somalia, Eritrea: un’altra regione dove questo è un problema molto grave, che però va affrontato; perché una quota molto significativa degli arrivi sulle coste libiche proviene da queste aree, che quindi non possono restare al di fuori di un impegno di politica internazionale all’insegna di una cooperazione per lo sviluppo che voglia provare ad affrontare il nodo migranti. Questo è un caso vero per l’Eritrea, è un caso vero per la Somalia. A Mogadiscio c’è un governo riconosciuto come legittimo a livello internazionale, che però ha bisogno del sostegno decisivo di migliaia di militari africani; due giorni fa, nel Puntland, una regione ritenuta tra le meno instabili della Somalia, c’è stato un attentato e hanno perso la vita almeno quattro dipendenti dell’Unicef.

D. – Invece la stampa africana come legge la situazione attuale della Libia?

R. – Come la conseguenza anche di politiche e interventi che non hanno saputo guardare ad una prospettiva di medio e lungo periodo. Il riferimento è evidentemente alle conseguenze determinate dalla guerra civile del 2011 e dalla caduta di Muammar Gheddafi. Forse, però, può essere interessante ricordare come in questi giorni in Africa si parli di migranti anche su un altro versante: non solo il versante che attraversa il Mediterraneo e giunge fino a noi in Europa; ma anche quello che riguarda i disordini delle ultime settimane in Sud Africa. Sono stati presi di mira negozi, abitazioni, baracche di migranti giunti in Sud Africa e provenienti dal Congo, dall’Eritrea. Sono stati presi di mira perché percepiti come ‘ladri di lavoro’, ladri di quelle poche risorse a disposizione della popolazione delle baraccopoli sudafricane.








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