2015-04-06 09:08:00

Mons. Petrocchi: non solo muri nuovi per rilanciare L'Aquila


Uno striscione portato dai familiari delle vittime con lo slogan "il fatto non sussiste ma uccide", in riferimento alla sentenza della Corte d'Appello che ha assolto sei dei sette componenti della Commissione Grandi rischi. Così, ieri, nella serata della Pasqua, che coincide con il sesto anniversario del terremoto dell'Aquila, assenti i rappresentanti del governo, si è snodato il corteo per non dimenticare le 309 vittime che alle 3.32 della notte tra il 5 e il 6 aprile del 2009 sono rimaste uccise da una scossa che causò 1.600 feriti e 70 mila sfollati. Ancora oggi, circa 15 mila persone sono senza una casa. Diecimila persone, tra cui molti giovani, rappresentanti della Regione, dei Comuni abruzzesi e qualche singolo parlamentare hanno sfilato in silenzio con le fiaccole in mano attraversando il centro storico de L’Aquila fino a piazza Duomo, ascoltando i 309 rintocchi delle campane della chiesa di Santa Maria del Suffragio per ricordare le vittime del terremoto. Affollata anche la Messa seguita al corteo, celebrata nella chiesa di San Giuseppe Artigiano dall'arcivescovo, mons. Giuseppe Petrocchi. Le considerazioni del presule al microfono di Luca Collodi

R. – L’Aquila non ha bisogno solo di una ricostruzione “muraria”, non bastano le opere che riedificano i suoi monumenti, i suoi edifici. Restituire a L’Aquila questa sua “reintegrazione di tipo architettonico” non è sufficiente per far rivivere la città: la città deve risorgere. Questo evento è anzitutto spirituale e, proprio per questo, ha poi anche una ricaduta umana. Anche l’anima di questa città ha subito frammentazioni e lacerazioni. Basti pensare che abitudini consolidate sono state interrotte. Ancora oggi, circa 15 mila abitanti sono fuori dalle loro case.

D. – Come lei ha scritto alla comunità ecclesiale e civile de L’Aquila nel messaggio per la Pasqua di quest’anno, "senza una riscoperta di Gesù e senza una riscoperta dell’anima, nessuna ricostruzione è possibile a L’Aquila e in Abruzzo”…

R. – Risorgere non significa soltanto ritornare alla situazione antecedente a un dramma che si è vissuto. Significa recuperare nella grazia di Dio una pienezza inedita. Dico sempre che L’Aquila che verrà, se saprà risorgere nell’incontro con il Signore, sarà più bella e più capace di esprimere i valori cristiani e umani, rispetto a L’Aquila che è stata. Noi chiediamo al Signore Gesù non soltanto che le sofferenze provocate dalla morte di 309 persone possano esser aperte alla consolazione: noi chiediamo al Signore Gesù che da questa Croce collettiva e personale possa scaturire un’interezza e una profondità che meravigliano e che possano davvero fare de L’Aquila una città posta sul monte.

D. – Lei ci dice: senza la luce e la grazia del Signore sarebbe una ricostruzione fredda, che riproporrebbe i problemi di sempre…

R. – Certamente. Anzi, potrebbe amplificare problematiche che esistevano e che il terremoto ha in qualche modo acutizzato. Spesso noi abbiamo, anche in buona fede, una sorta di volontà di anestetizzare il dolore, ma ci sono delle sofferenze che non possono essere azzerate. Non è vero che il tempo finisce per cancellare ogni ferita. C’è anche un diritto di soffrire e quindi c’è un dovere di rispettare questa sofferenza. Una mamma che ha persona un figlio, un figlio che perde i genitori, un fratello che vede distrutta una famiglia, porta dentro di sé una sofferenza che può essere illuminata e redenta, quindi restituita ad un significato vero, solo dall’incontro con Gesù, il Crocifisso Risorto.








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