2015-04-02 14:36:00

Card. Filoni in missione tra cristiani e yazidi del Kurdistan


Continua la missione in Iraq dell’inviato del Papa il card. Fernando Filoni, Prefetto di Propaganda Fide, che in queste ore si trova nei villaggi a nord del Kurdistan iracheno dove sono stati accolti migliaia di profughi in fuga dai jihadisti del sedicente Stato Islamico. Il porporato questa sera nella cattedrale di Dehoc celebrerà la Messa in Coena Domini e laverà i piedi a 12 rifugiati. Al microfono di Roberto Piermarini, che lo ha raggiunto telefonicamente nella cittadina di Zhako, il porporato racconta come sia stato impressionato dall’incontro con i profughi non solo cristiani ma anche musulmani e yazidi:

R. – Intanto devo dire che è come un pellegrinaggio, passare in queste parrocchie, in questi centri dove si radunano sia i cristiani residenti sia anche i rifugiati, ma anche alcune famiglie musulmane: già ho visto tante famiglia degli yazidi che sono venute, anche loro, a partecipare a questo nostro incontro. Questo, naturalmente, è molto bello perché è proprio il senso dell’unità, della fratellanza tra tutte queste situazioni dove, alla fine, non c’è differenza per la situazione di sofferenza, tra cristiani, musulmani e yazidi. E’ un piccolo esempio di comunione in questa Settimana di Pasqua che tutti, qui, abbiamo apprezzato.

D. – Ha incontrato anche le autorità politiche della zona?

R. – Sì: ho incontrato il governatore e poi, dove sono passato, in questi piccoli centri, c’erano i sindaci, le autorità locali: sono persone molto semplici, molto cordiali. A loro ho sempre espresso una parola di gratitudine per il gran lavoro che hanno fatto in questi mesi, per dare una sistemazione un po’ a tutte queste famiglie e insieme alle organizzazioni internazionali, soprattutto a tante organizzazioni come la Caritas, che qui hanno una presenza fattiva. E quindi, anche in collaborazione con la Chiesa, le diocesi, le parrocchie: praticamente, non ci sono parrocchie dove non ci siano o nelle scuole o nelle aule di catechismo, sistemate alcune famiglie. E quindi, questa apertura un po’ a tutti. E poi, ovviamente, ci sono i grandi Campi che naturalmente raccolgono anche qui, nella zona, migliaia e migliaia di rifugiati, soprattutto nella parte della Siria.

D. – Che cosa le chiedono i rifugiati?

R. – Intanto, devo dire che a volte hanno delle espressioni molto, molto, molto affettuose nel dire “grazie”: “Noi certamente stiamo meglio di tanti altri che soffrono di più”, e questa è una cosa che ha colpito tutti perché da loro non ce lo saremmo aspettato. E poi, c’è questa gratitudine: naturalmente manifestano la speranza di poter rientrare quanto prima nei loro villaggi e nelle proprie case. Nessuno ha chiesto di andare via; anche, in genere, dicono: “Vorremmo che quanto prima i nostri villaggi possano riaccoglierci in modo che noi possiamo ricominciare”. Naturalmente, poi ci sono anche alcuni casi di sofferenza, di malattia, di anziani che sono soli o che comunque sono in condizione di sofferenza: bè, questi sono casi umani che un po’ troviamo dovunque.

D. – C’è un fatto, un avvenimento, un momento che l’ha commossa in questi primi giorni di missione in Iraq?

R. – Direi, proprio prima di arrivare qui a Zakho, da dove parlo, siamo stati a Peshkhabour, che è un po’ il limite con la Turchia: sotto questo promontorio scorre il fiume Peshkhabour, dall’altra parte è già Turchia. E qui sono venute tante donne yazide con i loro bambini, che hanno voluto in questo modo – con la loro presenza – dare senso a questo momento di incontro, di fraternità. E naturalmente, a loro ho portato anche il saluto che ieri, passando da Lalish, mi ha dato Baba Sheikh, il loro capo spirituale, che ho incontrato: loro erano contenti, alcuni hanno battuto le mani perché ho ricordato il loro luogo sacro, appunto Lalish, con i loro saggi, i loro capi. In questo senso, hanno sentito anche una nostra vicinanza al di là solo della questione umanitaria: anche un po’ questa condivisione spirituale … Appunto, passando di là, ho incontrato queste personalità religiose, qualcuna delle quali era anche stata a Roma; ed erano grate che Papa Francesco le aveva incontrati, e hanno detto: “Noi non dimenticheremo mai le parole che ci ha detto, che dovunque c’è uno yazidi anche noi parleremo per lui e per la sua sofferenza”. Questo lo ricordano bene e ne sono molto, molto grati. Sono stati momenti di grande emozione e anche di grande affettuosità, perché dopo questi mesi in cui si è dovuto lavorare per dare una sistemazione almeno un po’ migliore, vedono che nel frattempo – in attesa di tempi migliori – hanno una sistemazione per le famiglie, per le persone …

D. – Qual è il suo programma nelle prossime ore?

R. – Nelle prossime ore, da Zhako visitiamo ancora qualche comunità nei dintorni; poi torniamo a Dohuk dove poi, nel pomeriggio, dopo le cinque, abbiamo la celebrazione liturgica alla quale anche il governatore – che non è cristiano – ha detto di voler essere presente; lì ci sarà anche il rito della Lavanda dei piedi. Il vescovo ha voluto che fossero 12 persone – uomini – che provengono appunto da villaggi dai quali sono fuggiti, quindi profughi che hanno dovuto abbandonare le loro case: è un servizio che in questo modo anche liturgicamente rendiamo loro. E questo sarà il momento celebrativo con tutta la comunità di Dohuk, con il vescovo e con le altre persone cristiane che sono presenti.








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