2015-03-31 15:02:00

Siria, terza Conferenza donatori. Onu: solo 10% degli aiuti


La critica situazione in Siria, giunta al quinto anno di conflitto, è al centro della terza Conferenza umanitaria internazionale dei donatori aperta oggi a Kuwait City. Presenti 70 Paesi e una quarantina di Organizzazioni non governative. Il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, ha chiesto più “generosità”. Le prime risposte sono arrivate dall'Unione Europea, che ha promesso oltre un miliardo di dollari, e da Stati Uniti e Kuwait, che hanno promesso 500 milioni ciascuno. Roberta Gisotti ha intervistato Daniele Donati, responsabile emergenze della Fao, che in questa occasione ha lanciato un appello speciale:

La guerra in Siria: 220 mila morti, un numero incalcolabile di feriti e mutilati, 10 milioni a rischio fame e 11 milioni senza acqua potabile, 2 milioni e mezzo di bimbi senza scuola. Per fronteggiare questo disastro umanitario servono, secondo l’Onu, 8,4 miliardi di dollari solo nel 2015, ma gli aiuti finora arrivati sul campo sono appena il 10% di quanto richiesto negli scorsi anni. Aprendo la Conferenza, il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, ha espresso “vergogna, profonda rabbia e frustrazione” per il fallimento della comunità internazionale, che non ha saputo fermare il “bagno di sangue” e non sta aiutando abbastanza il popolo siriano, in gran parte fuggitivo. Da qui l’appello dell’Alto commissario Onu per i rifugiati, Antonio Guterres, rivolto all’Europa perché tenga aperti i suoi confini, in particolare per i siriani, che sono in gran parte fuggitivi, come ci conferma Daniele Donati, dirigente Fao:

R. – Ci sono circa 10 milioni di siriani lontano dalle loro case in questo momento: 7,6 milioni nel Paese e quasi 4 milioni all’estero. Dieci milioni di persone sono in uno stato di insicurezza alimentare, di cui il 70% in stato di grave insicurezza alimentare. Va ricordato che oltre il 70% della popolazione siriana dipende direttamente o indirettamente dall’agricoltura. E l’agricoltura, nel corso degli ultimi 5 anni, è caduta globalmente di oltre il 50% del livello produttivo di prima della crisi.

D. – Che cosa chiede la Fao alla comunità internazionale?

R. – La Fao chiede complessivamente circa 120 milioni di dollari, distribuiti quasi in egual misura tra la popolazione uscita e quella rimasta in Siria: su 23-24 milioni di abitanti ce ne sono circa 5 milioni ancora nel Paese, che sono in zone totalmente inaccessibili. Noi cerchiamo con i sistemi più diversi di far giungere assistenza agricola, nel senso ampio del termine, includendo anche le attività pastorizie e il restauro delle infrastrutture di irrigazione. Cerchiamo di far arrivare aiuti, soprattutto in termini di sementi, per garantire un livello di produzione tale da almeno controbilanciare il violento aumento dei prezzi che ha creato sempre più poveri in Siria nel corso di questi 5 anni. E nei Paesi vicini tendiamo a fornire lo stesso tipo di supporto non soltanto ai rifugiati ma anche a quelle famiglie libanesi, giordane, irachene, che danno supporto a questa gente arrivata con nulla, solo con quello che hanno addosso.

D. – Siamo arrivati alla terza Conferenza per la Siria: alla Fao sono arrivati gli aiuti richiesti?

R. – Siamo anche noi allo stesso livello, sfortunatamente. Il nostro appello dello scorso anno è finanziato al 10%. Il grande problema è che in questo momento il mondo occidentale sta soffrendo di "trend" finanziari particolarmente negativi. Inoltre, c’è la simultanea presenza di crisi molto importanti in differenti teatri di conflitto. In questo momento, mi vengono in mente i bisogni enormi del Sud Sudan, della Repubblica Centrafricana, la crisi dell’Ebola in Africa dell’ovest, lo Yemen, la crisi in Ucraina, senza contare le crisi di lunga durata, come il Congo, come l’Afghanistan… I bisogni sono smisurati!

D. – L’aiuto giusto è forse portare la pace?

R. – E’ per questo che noi della Fao sosteniamo con grande intensità l’investimento in agricoltura. Noi siamo convinti che riprendere le normali attività agricole è il più poderoso motore di pace che si possa immaginare: riportare la gente a coltivare i suoi campi, fare in modo che i mercati siano di nuovo pieni di prodotti e che compare il cibo per le famiglie sia alla portata del più gran numero di persone possibile, è una realtà che automaticamente riduce il livello di tensione sociale. In questo senso, noi riteniamo che si debba guardare all’agricoltura, come ho detto, a un motore di pace.








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