2015-03-30 13:50:00

Ancora nulla di fatto ai colloqui sul nucleare iraniano


Si è conclusa dopo poche ore a Losanna la prima riunione plenaria dei ministri degli Esteri del 5+1 e dell'Iran sul programma nucleare iraniano. Presente anche l'Alto rappresentante della politica estera dell'Ue, Mogherini. Uscendo dalla sala i ministri non hanno fatto dichiarazioni ai giornalisti. Alla vigilia della scadenza del termine per un accordo, funzionari iraniani hanno rimesso in discussione uno degli elementi critici dell'accordo: la disponibilità di Teheran al trasferimento in Russia del proprio combustibile nucleare. Fausta Speranza ne ha parlato con Paolo Magri, direttore dell’Istituto di Studi di politica Internazionale:

R. - Ricordiamo che l’accordo del 2013 aveva semplicemente stoppato l’aumento di produzione delle centrifughe ecc., ma non aveva risolto il nodo di fondo. Il nodo di fondo per l’Occidente è avere la certezza che all’Iran serva almeno un anno per produrre eventualmente una bomba; e il nodo centrale per il governo iraniano è la fine immediata delle sanzioni. E’ su queste due posizioni che si sta giocando in queste ultime ore la sorte dell’accordo. Vediamo più in dettaglio: avere la certezza che ci voglia almeno un anno per produrre la bomba significa lavorare su tre aspetti: il primo, la quantità di uranio stock presente in Iran e la soluzione di mandarlo in Russia potrebbe essere una soluzione importante, perché non sarebbe più sul territorio; il secondo, significa sapere quante centrifughe sono disponibili e attive in Iran: ce ne sono 20.000, gli Stati Uniti ne vorrebbero 6.000, gli iraniani 9.000; e infine, avere rassicurazioni che il reattore di Arak, quello a plutonio, venga riconvertito a un uso più lento, cioè serva molto più tempo per produrre un plutonio per una bomba. Questi sono gli elementi essenziali, che sono tutti correlati: se, per esempio, ci fosse meno uranio in Iran, gli americani e gli altri negoziatori sarebbero disposti a concedere più centrifughe, perché sono ingredienti che servono ad arrivare a una bomba, nel caso venisse realizzata.

D. – Diciamo, in pochissime parole, che cosa può rappresentare un accordo in questo momento?

R. - Per l’Iran moltissimo, perché significherebbe l’uscita dall’isolamento e l’uscita dalla crisi economica che sta vivendo un Paese che ha delle grandi ricchezze, oltretutto in un momento in cui il prezzo del petrolio è sceso. Per il mondo, pensiamo solo al contrasto con lo Stato Islamico: l’Iran è il principale nemico dello Stato Islamico; in questo momento sta combattendo contro lo Stato Islamico, soprattutto in Iraq, ma non può essere parte di una coalizione in modo esplicito, e ci priva di una possibilità di intervenire militarmente in modo forte. Un accordo potrebbe significare il miglioramento della situazione in Siria, perché - ricordiamo - l’alleato principale di Assad è il governo iraniano. Tutto ciò avviene in un momento in cui tutti gli equilibri della regione si stanno rimettendo in discussione: sappiamo che da ieri c’è una coalizione contro lo Yemen - contro il gruppo sciita in Yemen - di tutti i Paesi della Lega Araba, e questo è un messaggio forte anche all’Iran ovviamente. Quindi, una normalizzazione post-accordo potrebbe aiutare a risolvere questi dossier.








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