2015-03-29 08:52:00

A Palermo Via Crucis in 10 lingue e meditazioni di migranti


Una Via Crucis in 10 lingue con meditazioni scritte da migranti, per mostrare che le differenze culturali possono camminare insieme come unico popolo di Dio. L’iniziativa, a Palermo nella Domenica delle Palme, è un momento di preghiera per la pace e la serena convivenza tra diverse etnie. Alla sua terza edizione, coinvolge migliaia di immigrati. Ad organizzarla padre Sergio Natòli dell’Ufficio per la Pastorale delle Migrazioni dell’arcidiocesi di Palermo. Tiziana Campisi lo ha intervistato:

R. - Questa forma di pietà popolare è vissuta da tutti i cattolici e abbiamo deciso di fare una celebrazione che sia anche una forma di testimonianza pubblica della sequela di Cristo Gesù e di Cristo Crocifisso. Quindi abbiamo coinvolto le varie comunità etniche. Il commento alle varie stazioni è preparato dai vari migranti. C’è la comunità della Costa d’Avorio, ghanese, tamil, cingalese, del Perù, dell’Ecuador, la comunità filippina. Poi ci sono nigeriani, togolesi, del Benin e di altre nazioni che sono più delle unità anziché delle comunità.

D. - Quali sono i temi delle meditazioni che saranno proposte?

R. - La pace come costruzione di relazioni interpersonali, come capacità di costruzione di relazione tra popoli e nazioni, tenendo conto del clima che c’è in questo momento attorno al Mediterraneo dove la dimensione della pace è molto minata alla base.

D. - Palermo quanti migranti ospita?

R. - Ufficialmente - con permesso di soggiorno - sono poco più di 30mila; un terzo - di religione musulmana - proviene da Tunisia e Algeria. Poi c’è una grossa fetta di cattolici – 12-13mila persone circa – e una buona fetta di indù e di buddisti e ancora persone che noi definiamo “seguaci delle religioni tradizionali”.

D. - Come si sono integrate queste persone nel capoluogo siciliano?

R. - Se per integrazione intendiamo una convivenza pacifica nello stesso territorio e una vicendevole e mutua accoglienza, ci sono delle grandi differenziazioni a secondo delle comunità etniche di appartenenza. Ci sono alcune comunità che hanno una maggiore difficoltà ad entrare in un dinamismo di convivenza, e quindi di mutua integrazione; ci sono altre comunità che sono molto più aperte. Di solito, da un punto di vista sociale e civile, l’impatto è positivo, perché la Sicilia ha dovuto convivere con tante dominazioni, quindi rientra nel dna un po’ proprio del popolo, della gente, questo aspetto dell’accoglienza e della condivisione; quindi ’è una grande facilità ed un grande rapporto umano ma, molte volte, succede, capita, che le organizzazioni di stampo religioso siano “usate” come tappabuco per l’incapacità di potere affrontare le situazioni molto particolari legate alla migrazione. Noi abbiamo, qui in città, un centro che accoglie circa 1200 migranti gestito da Biagio Conte e c’è una grande difficoltà di interazione tra “il pubblico” e l’organizzazione religiosa. Pensiamo anche alla prima accoglienza dei rifugiati, dei profughi che arrivano. C’è una politica di tappabuco più che una politica a lungo raggio.

D. - Si potrebbe definire questa iniziativa una iniziativa multiculturale, multietnica, ma lei preferisce un’altra terminologia …

R. - Preferisco una terminologia più corrispondente alla realtà che è interculturale, cioè una logica dove le diversità si coniugano insieme all’interno dell’unica sequela di Cristo Gesù. Con un linguaggio ecclesiale dovremmo dire sono espressione della comunione della Chiesa e della cattolicità della Chiesa.

D. - Quale messaggio volete dare attraverso questa Via Crucis?

R. - Gesù ha versato il suo sangue per tutti e, a quanti lo accolgono, dà loro la gioia e il potere di essere figli di Dio. Ecco il messaggio è che siamo non soltanto una sola famiglia umana, ma siamo un unico Popolo di Dio, un unico Corpo di Cristo, dove non ci deve essere un’omogeneizzazione verso una cultura ma dove le differenti culture esprimono l’unica fede in Cristo Gesù.








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