2015-03-24 12:28:00

Vertice tra Usa e Afghanistan su sicurezza e terrorismo


Faccia a faccia a Washington tra il capo della Casa Bianca, Barack Obama, e il presidente afghano, Ashraf Ghani. Al centro del vertice, il ritiro dei soldati americani e l’espansione del sedicente Stato islamico nella regione, anche alla luce dell’ondata di attentati che nelle ultime ore ha colpito l’Afghanistan provocando almeno 18 morti. Sull’incontro, Eugenio Bonanata ha intervistato Alberto Negri, giornalista de Il Sole 24 Ore ed esperto dell’area:

R. – La visita di Ghani è importante perché proprio quando si parla di lotta al terrorismo in qualche modo si torna sul "luogo del delitto", l’Afghanistan: il Paese che era diventato il santuario di al Qaeda e di Osama Bin Laden, da dove poi è partito l’11 settembre e una sequela di eventi che negli ultimi 15 anni hanno travolto il Medio Oriente, ma colpendo anche lo stesso Occidente. Quindi, adesso, parlare del ritiro americano in qualche modo ha un sapore un po’ diverso da come se ne parlava forse un anno fa, soprattutto dopo l’ascesa del Califfato. E probabilmente questo ritiro completo, in realtà, non ci sarà: forse sarà schedulato e programmato sulla base della necessità di mantenere un minimo di sicurezza in un Paese che è ancora tormentato dagli attentati, dall’instabilità.

D. – Quanto conta l’Afghanistan nella strategia del cosiddetto Califfato?

R. – Conta perché conta tutto nella strategia del Califfato. Il Califfato non solo si sta espandendo ben oltre la Siria e l’Iraq, nel Maghreb e così via, ma sta facendo una grande campagna acquisti. Lo vedete benissimo con quello che è avvenuto nei gruppi radicali in Libia, ma anche con quelli del Maghreb. E molto spesso vediamo che alcuni dei militanti che hanno fatto atto di fedeltà al Califfo, in realtà erano prima membri di al Qaeda. Come pure lo vediamo in Afghanistan, perché il fatto che lo Stato islamico stia facendo campagna anche lì non è una novità.

D. – Cosa si può dire in particolare della relazione tra i talebani e l’Is?

R. – Ci sono state delle contrapposizioni anche forti, perché è evidente che qui c’è un aspetto concorrenziale. Però, l’aspetto competitivo e concorrenziale potrebbe diventare qualcosa di diverso nel momento in cui lo Stato islamico e il Califfato cominciassero appunto a fare accordi con settori dei talebani che non vogliono in qualche modo arrendersi all’idea di poter rientrare sulla scena politica in un quadro afghano di tipo pluralista.

D. – Kabul che garanzia è in grado di offrire a fronte dell’avanzata dei jihadisti, anche in termini di sicurezza?

R. – Non molte. Come vedete anche dalle notizie degli ultimi attentati, Kabul ha delle gravi difficoltà. Qui parliamo comunque ancora di un Paese dove il programma di stabilizzazione e di sicurezza è ben lontano non solo dall’essere completato, ma dall’arrivare a un livello di sicurezza accettabile, sia per quanto riguarda l’esercito sia per quanto riguarda le forze di polizia. Soprattutto, poi, quando si va nelle regioni più sensibili, cioè quelle dove i talebani sono da sempre più attivi, quelle lontano dalle grandi città, dai grandi centri dove è molto più difficile per lo Stato afghano estendere la propria influenza. Lo era in tempi non sospetti, negli anni Settanta, figuriamoci adesso.








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