Un giovane cristiano è stato torturato a morte dalla polizia pakistana dopo che sua madre era stata accusata di aver rubato oro e denaro dal suo datore di lavoro musulmano. Zubair Masih, 25 anni, è stato preso in custodia dalla polizia, con altri membri della famiglia, dopo le accuse formulate contro sua madre, Ayesha Bibi. Il giovane non è stato rilasciato come gli altri. Il suo corpo è stato riportato alla famiglia, dopo essere stato torturato in una stazione di polizia per tutta la notte. Come appreso dall'agenzia Fides, Ayesha, vedova, era accusata di aver rubato alcuni gioielli e un importo di 2000 rupie dall’abitazione del suo datore di lavoro, Abdul Jabar, dove lavorava come domestica.
Il ruolo della polizia nell'uccisione del giovane
Jabbar e alcuni poliziotti hanno fatto irruzione in casa sua, accusandola di furto,
ma la donna negava di aver commesso i crimini presunti. Una denuncia è stata registrata
anche a suo carico. Gli agenti e Jabbar hanno iniziato a percuoterla, portandola a
casa di suo fratello Arshad Masih, dove l’uomo vive con i suoi due figli. Dato che
la donna si dichiarava ancora innocente, gli agenti hanno preso tutti i presenti conducendoli
alla stazione di polizia dove sono stati pesantemente percossi. La donna ne è uscita
con un braccio fratturato. Alla fine della giornata tutti, tranne Zubair, sono stati
rilasciati. I familiari erano molto preoccupati per il giovane innocente, pensando
alle torture che avrebbe subito. Il giorno dopo, il 7 marzo il suo corpo senza vita
è stato scaricato dalla polizia davanti alla sua abitazione. Portato in ospedale,
il medico non ha potuto far altro che constatarne il decesso, a causa di lesioni multiple.
La protesta dei cristiani contro la polizia
La notizia ha generato strazio nella famiglia e sconcerto nella comunità cristiana.
I fedeli si sono assiepati davanti alla stazione di polizia chiedendo giustizia. Dopo
due giorni di protesta, l’8 marzo una denuncia è stata registrata contro il vicecommissario
Sarajul Haque, verso altri tre poliziotti e contro Abdul Jabbar. “Anche se la polizia
ha assicurato la giustizia, è molto difficile che in questi casi si arrivi a condanne.
Spesso alla famiglia viene proposto un risarcimento, chiedendo di ritirare le denunce”,
nota a Fides Joseph Francis direttore di “Claas”, che ha offerto assistenza legale
gratuita alla famiglia. (P.A.)
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