2015-03-02 15:08:00

Arcivescovo Tunisi: può arrivare Is, ma restiamo con i cristiani


Tra i partecipanti all’incontro dei vescovi del Nord Africa con Papa Francesco c'era anche mons. Ilario Antoniazzi, arcivescovo di Tunisi. Ascoltiamo il suo commento raccolto da Marina Tomarro:

R. – Per noi è stato un momento molto importante e incoraggiante nello stesso tempo. E’ rimasto impressionato dalla testimonianza di mons. Martinelli, il quale ha detto che finché ci sarà un cristiano in Libia non lascerà la Libia. Ha insistito molto nella sua parola e nelle sue domande sugli immigrati, sulla situazione degli immigrati che partono dal Nord Africa, dalle nostre diocesi, per arrivare o in Spagna - quelli che partono dal Marocco - o in Italia o in altri Paesi. Si è informato su come arrivano, come partono, come vivono nelle prigioni quelli che vengono presi; cosa facciamo noi e cosa fa la Chiesa locale per loro. Ci ha detto chiaramente che siamo la Chiesa dell’accoglienza, parlando della Chiesa del Nord Africa. E questo è ancora il senso vivo del Vangelo: forse non possiamo parlare tanto, ma la nostra testimonianza e la nostra carità verso la gente è la più bella testimonianza e la più bella predica che potremmo fare. Il Papa ci ha incoraggiato moltissimo, dicendoci: “Rimanete. La vostra preghiera, la vostra sofferenza, che è la vostra testimonianza di vita, è molto più importante della parola che potete dire, perché Cristo agisce non tramite la vostra parola, ma tramite la vostra vita.

D. – La situazione dei cristiani in Nord Africa è particolarmente difficile. Cosa sta succedendo?

R. – Abbiamo la Libia, dove  la situazione è tragica e dove i cristiani che sono rimasti con i nostri vescovi vivono una vita di pericolo quotidiano. Il Nord Africa è anche il Marocco, l’Algeria e la Tunisia, dove la nostra testimonianza è basata sulla nostra vita, dove non possiamo fare alcun tipo di proselitismo e dove tutto il nostro apostolato è all’interno delle Chiese. Però abbiamo molti cristiani che sono – come li chiamiamo noi - di passaggio. Siamo una Chiesa dell’accoglienza: noi accogliamo i cristiani che vengono e che sono decine di migliaia; sono gli studenti che vengono a studiare nelle nostre università, sono gli operai che vengono per lavoro e che hanno un contratto di lavoro e che non sono persone fisse. Quello che però ci impressiona è che anche in questi cristiani, che vivono in un mondo musulmano, quando ritornano nel loro Paese dicono: “Abbiamo imparato molto e ritorniamo più ricchi cristianamente, perché abbiamo vissuto con un popolo anche musulmano, che pratica la sua fede, che è convinto nella sua fede nel Dio unico, come il nostro, e che ci ha insegnato molto a mettere Dio al centro della nostra vita”.

D. – C'è il pericolo che in Tunisia possa penetrare l’Is?

R. – Diciamo che finora la situazione è calma e non c’è alcun pericolo. Però sono alla frontiera con la Libia: hanno cercato anche di entrare e 10 giorni fa abbiamo avuto quattro militari uccisi… Però sono ancora lì. Più che dell’Is che vediamo in televisione, abbiamo paura di un Is che entra di nascosto - sia attraverso la frontiera, perché abbiamo una frontiera molto lunga con la Libia, sia via mare e che facciano il giro della Libia e che possono entrare da clandestini in Tunisia – e che stia organizzando delle cellule qua e là che possono provocare pericoli in futuro. Però fino adesso siamo tranquilli e viviamo una vita normale in Tunisia.

D. – Papa Francesco parla dell’importanza del dialogo interreligioso, soprattutto con l’islam…

R. – E’ di base! Perché noi come cristiani viviamo con una comunità musulmana che è tranquilla, che riconosce il lavoro che noi facciamo con loro, tramite la Caritas, tramite le nostre scuole e tramite le nostre opere. Molto spesso siamo invitati agli incontri islamo-cristiani e noi stessi promuoviamo questi incontri islamo-cristiani. E’ molto importante per conoscere e farsi conoscere. Dobbiamo conoscere l’islam, perché ci sono delle persone veramente squisite, che vogliono la pace, che collaborano con noi. E arrivare là con paura è la cosa peggiore che possiamo fare. 








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