2015-02-28 17:30:00

Un libro racconta il rapporto tra cinema e preghiera


Sarà presentato questo lunedì alle 12.00, nella Chiesa della Santissima Trinità dei Monti di Roma, il libro di Dario Cornati e Dario Edoardo Viganò “Il fuoco e la brezza del vento. Cinema e preghiera” delle edizioni San Paolo. Alla tavola rotonda, cui sarà presente anche mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, partecipano don Ivan Maffeis, presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo, il regista Philip Gröning e l’attrice Elena Sofia Ricci. Il servizio di Luca Pellegrini:

Andare al cinema con occhi nuovi: è quanto gli autori del piccolo libro auspicano accada al lettore attento e che ama la settima arte anche come spazio di riflessione. Dalla preghiera momento intimo – ma non privato – di dialogo con Dio, al film in una sala buia, che nel silenzio e nella condivisione può suscitare lo sguardo attento di uno spettatore in dialogo con il regista. La prima parte del volume è scritta da don Dario Cornati, docente di Teologia Fondamentale alla Facoltà Teologica di Milano. Nelle sue pagine approfondisce l’aspetto più esistenziale della buona preghiera, ossia la condizione del silenzio e dell’ascolto:

R. - In quelle paginette introduttive, cerco proprio di mostrare come l’esperienza cristiana, ma forse l’esperienza umana universale della preghiera, è proprio quella di un legame, di un rapporto che a noi pare quasi insostenibile, introvabile con Dio, ma che proprio perché Lui vuole rendere possibile e che ci ha dato. Cercavo appunto attraverso l‘articolazione di queste quattro parole -  parola, silenzio, la crisi, abbandono a Dio - di spiegare la bellezza del pregare proprio nei termini di un osare questa relazione affettiva, profonda, al tempo stesso vera, con il Signore. Credo che da questo punto di vista, la vita di Gesù, i suoi 33 anni da quando era nelle braccia della sua mamma fino a quando è salito sul Calvario e sulla Croce, ci dimostrino che Lui vuole per ciascuno di noi, a partire da ogni discepolo, un’esperienza fragrante, vera, al tempo stesso liberante.

D. - Potrebbe essere ardito, ma tra il silenzio, condizione del pregare, e il silenzio di una sala cinematografica, potrebbe esserci una qualche analogia...

R. - Intanto la prima analogia fra la settima arte, il cinema e l’esperienza della preghiera mi sembra proprio che sia data da questo motivo dello sguardo, ma di uno sguardo che sa essere in qualche modo più silenzioso. Lo sguardo è in fondo quello di Dio sotto il quale il Signore Gesù, il Figlio, ma anche ciascuno di noi, vorrebbe sempre un po’ più stare per imparare da Lui, per imparare le cose buone del mondo. D’altra parte, questo sguardo se come nel cinema non fosse custodito da un silenzio, da un rispetto, da un garbo, da una gentilezza, rischia di diventare – noi lo capiamo bene – anche un modo di violare l’altro, di entrare nella vita dell’altro, di curiosare nelle pieghe dell’esistenza dell’altro. È per questo che trovavo questo gancio: il silenzio di Dio e del credente; il silenzio del regista e al tempo stesso dell’artista e dello spettatore, che apprezzano, che gustano, che rispettano e non vanno ad invadere.

Mons. Viganò, direttore del Centro Televisivo Vaticano, per la seconda parte ha preso spunto da una bella intuizione di Papa Francesco sulla preghiera:

R. – “La preghiera ci cambia il cuore, ci fa capire meglio come è il nostro Dio”. Questa è una delle frasi di Papa Francesco. È una meditazione mattutina di Santa Marta. Quindi proprio da lì, mi è venuta voglia di percorrere la storia del cinema, in particolare soffermarmi su alcuni dei grandi film degli ultimi dieci anni, per capire come è stato raccontato il luogo intimo, personale, insieme esistenziale e comunitario, della preghiera.

D. - Ci potrebbe fare qualche esempio di film preso in esame nel libro?

R. - Diciamo che è un piccolo libro che raccoglie certo alcuni iceberg della storia del cinema. Però, al di là dei grandi classici che vanno appunto da Rossellini, Dryer, Bergman, Bresson, penso ad esempio ad alcuni grandi film che abbiamo conosciuto in quest’ultimo decennio. Prima di tutto “L’isola” di Pavel Lounguine, un film straordinario, che diventa una parabola glaciale sul peccato, la follia e la santità. E in particolare padre Anatolij è un uomo che ci conduce al cuore della preghiera: “Signore Gesù Cristo, Figlio del Dio vivente abbi pietà di me”: questo lui continuamente ripete negli spostamenti sull’isola, lui che come lavoro fa il fuochista, rivela l’oppressione del senso di colpa per il peccato che grava sulla sua anima. Possiamo dire che è un film che mette sempre in luce la domanda che risuona nel cuore sull’isola: perché Caino ha ucciso Abele? Questo è un film molto interessante. Certo, qual è il paradigma del racconto della preghiera nel cinema? Dobbiamo tornare molto indietro. Penso in particolare al film del ’53 – “Il ritorno di don Camillo” – dove appunto il prete parla con il Crocifisso. Questo è molto interessante perché la preghiera, come dice Papa Francesco, non è quella dei pagani, cioè parlare con parole vuote, ma parlare con la realtà, quindi mettersi davanti al Crocifisso e raccontare la propria vicenda concreta, quotidiana, come fecero i discepoli di Emmaus. Nel film di don Camillo questo è molto presente. Proviamo a pensare a quando don Camillo dice: “Signore, come è pesante portarsi a spalla la tua Croce” e il Crocifisso che risponde: “Lo dici a me? Io l’ho portata a lungo, in un cammino molto più aspro”, e don Camillo: “Signore, siete voi, la vostra voce, siete voi che mi parlate”, e Gesù che dice: “Guarda che io non ho mai smesso di parlarti, ma tu non mi sentivi, perché avevi le orecchie chiuse dall’orgoglio della violenza”. Questo è un po’ il paradigma della preghiera nel cinema: il parlare della vicenda personale, concreta, con il Signore Gesù.








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