2015-02-25 13:51:00

Nuove tensioni etniche in Myanmar: 30 mila civili in fuga


Riesplodono le tensioni etniche in Myanmar: da giorni si susseguono scontri tra i ribelli di etnia Kokang e l’esercito governativo, nello stato di Shan, in una zona del nord est al confine con la Cina. Un centinaio le vittime tra cui 50 soldati uccisi nel fine settimana e il Presidente Thein Sein ha dichiarato lo stato di emergenza, imponendo la legge marziale per i prossimi tre mesi. Due giorni fa i ribelli hanno attaccato anche un convoglio della Croce Rossa internazionale, fatto che ha destato molta preoccupazione, perché è stato il primo attacco di questo genere nella storia del Paese. In allarme Pechino che teme uno sconfinamento degli oltre 30 mila civili in fuga. Ma cosa sta succedendo in quest’area? Cecilia Seppia lo ha chiesto al prof. Romeo Orlandi, presidente del comitato scientifico di Osservatorio Asia.

R. - Quello che sta succedendo nella zona di confine tra l'ex Birmania oggi Myanmar e la Cina – nella provincia meridionale cinese dello Yunnan – è la serie di uno scoppio di contraddizioni che non sono state risolte nel tempo, e è l’esempio forse più lampante  della composizione etnica, del mosaico irrisolto è la Birmania: ci sono, lo ricordiamo 135 etnie. Lì  vivono dei cinesi che non stati mai completamente assimilati nel mainstream birmano e che con la guerriglia hanno difeso la propria autonomia  e soprattutto i loro interessi economici. Si tratta di interessi legati al legname pregiato, delle pietre preziose, i rubini, e anche della coltivazione dell’oppio e del papavero. Sono metodi illegali per mantenere un esercito che doveva difendere l’autonomia di questa zona che non è stata mai completamente integrata.

D. - Questi scontri tra ribelli Kokang e l’esercito del Myanmar hanno ovviamente provocato un esodo di massa che ha messo Pechino in allarme. Però la Cina non ha intenzione, a quanto pare, di intervenire: sta spingendo per la mediazione. Che rapporto c’è allora tra la Cina e il Myanmar?

R. - I rapporti con la Cina sono fondamentali per la Birmania, soprattutto negli anni bui della chiusura democratica della dittatura. La Cina e in parte l’India e l’Asia erano gli unici Paesi che tenevano viva la Birmania dal punto di vista economico attraverso gli scambi commerciali nella fornitura di materie prime. Insomma, questo flusso con la Cina da una parte ha fatto un po’ “vendere” il Paese alla Cina, dall’altra parte è stata la linea che il governo ha dovuto subire e mantenere. Con l’apertura verso la democrazia, che ovviamente non è ancora stata raggiunta completamente, il governo birmano ha per forza di cose rallentato i rapporti con la Cina.

D. - Pechino non vuole infilarsi in una guerra in questa zona, ma in Myanmar non ci sono certo solo interessi cinesi…

R. - Credo che a livello geostrategico ci siano forti interessi confliggenti; la Birmania è un Paese di snodo tra l’accesso al Sud-Est asiatico - e quindi ad un mercato di 620 milioni di persone; è la linea  di confine tra l’India e la Cina. Culturalmente è forse più vicina all’India anche per la dominazione britannica, però geograficamente è più vicina alla Cina; e soprattutto è un Paese di grandi tradizioni culturali: 60 milioni di abitanti che vivono su un immenso giacimento di gas, petrolio e materie prime, un terreno fertile; inoltre è una destinazione straordinaria per il turismo culturale. È ovvio che è un Paese che fa gola!

D. - Recentemente tra i nuovi cardinali creati dal Papa c’è anche il card. Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon. Si tratta del primo porporato del Myanmar che in qualche modo si è sempre battuto per il diritto alla libertà religiosa, anche per il rafforzamento del dialogo interreligioso. Allora, le chiedo, quanto è importante secondo lei il ruolo della Chiesa in questa fase di ricostruzione del Myanmar dopo decenni di conflitti, di dittature?

R. - Ho conosciuto il card. Charles Bo alcuni giorni fa al Senato durante un incontro per celebrare la sua nomina dove si è ribadita questa forte inclinazione di Papa Francesco verso il sud-est asiatico. Quindi ho ascoltato le sue parole volte ad un impegno per la ricerca della pace, del dialogo. Questo è possibile. È possibile che questo ruolo forte sia svolto dalla Chiesa, perché ha la capacità di mediazione per essere minoranza in un Paese di minoranze e per annunciare il messaggio di riconciliazione nazionale.








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