2015-02-25 16:47:00

La Libia sceglie Khalifa Haftar: nuovo comandante generale


In Libia è stato nominato "comandante generale" dell'esercito il generale Khalifa Haftar, il militare che ha portato Gheddafi al potere e che poi, in contrasto con il dittatore, ha passato 20 anni in Usa. Intanto, il premier libico al Thani avverte: in Libia sono presenti miliziani del sedicente Stato islamico e di Boko Haram. Il servizio di Fausta Speranza

Al Thani è capo del governo basato a Tobruk, nell’est della Libia, riconosciuto dalla comunità internazionale. Il suo, dunque, è un appello ad accelerare la lotta contro i jihadisti in Libia. Ma c’è anche un’accusa precisa: l'Occidente ha "chiuso un occhio" sul contrabbando di armi, pur sapendo che il traffico coinvolge le milizie filo-islamiche al potere a Tripoli, l’altro polo di potere nella Libia che prima ancora di essere preda di Is e Boko haram è spaccata appunto al suo interno. Nel caos, sembra esserci una certezza: il confine sud con il Ciad e il Niger è una sorta di 'colabrodo', da cui passano criminali oltre a migranti in fuga. L’Onu da giorni lavora al negoziato tra le diverse fazioni libiche. In questo contesto, arriva la nomina del generale Haftar a comandante generale con "tutte le prerogative" del ministro della Difesa e del Capo di Stato maggiore. Si conferma, dunque, la sua influenza sul governo di Tobruk riconosciuto dalla comunità internazionale. Ma come valutare questa nomina?  Claudio Lo Jacono, direttore della Rivista Oriente Moderno:

R. – Nel quadro che si è creato di fatto in Libia c’è la contrapposizione tra la vecchia Tripolitania e la vecchia Cirenaica, che esistono tuttora e sono separate - sembrano quasi voler costituire due entità differenziate, anche se questo ancora ufficialmente non è avvenuto. E in questo c’è il tentativo della Cirenaica, chiaramente schierata contro i movimenti centrifughi, che sono avvenuti dopo la caduta del regime di Gheddafi, di salvaguardare se stessa, se non addirittura di colpire i jihadisti che sono per la maggior parte presenti nella zona tripolitana. E’ un tentativo, dunque, di affidare ancora una volta, come è sempre successo, la chiave della soluzione ad un militare, che ha un suo seguito, perché ha sempre mantenuto una sua forza, una sua credibilità grazie all’appoggio di vari militari dell’esercito.

D. – Con l’annuncio della nomina è arrivata subito una sottolineatura: si tratta di un ponte con l’Egitto. E’ così?

R. – Questo senz’altro. Il leader egiziano Sisi ha chiarissimamente espresso la volontà di non avere accanto, come Stato confinante, una fucina di disordine jihadista. Sisi in questo non è assolutamente diverso da Mubarak. Anche Mubarak detestava, e ha combattuto con tutte le sue forze, il fondamentalismo jihadista. Sisi rappresenta un po’ la continuità dell’esercito nella politica egiziana. Tanti anni fa Anouar Abdel-Malek definiva l’Egitto una società militare, e questo è in effetti. Sisi conduce una lotta non meno forte contro il jihadismo, che è presente nel Paese dopo il rovesciamento del governo Morsi, in particolare in Sinai, anche se lì ci sono delle componenti tribali che intorpidiscono un pochino il quadro. In realtà, il jihadismo fa un discorso universalistico, in qualche modo: vorrebbe prendere il potere in tutto il mondo islamico. In Sinai la cosa è un po’ diversa. L’impegno di Sisi, però, e dell’esercito egiziano è assolutamente contro il jihadismo. E in questo Sisi ha trovato in Akhtar un altro militare, un uomo con il quale operare ed anche aiutarlo, perché è evidente che Sisi – e lo ha anche detto – aiuterà mandando addirittura mezzi moderni all’aviazione, mezzi terrestri per operare insieme contro i jihadisti. E lo farà, non sono parole. 








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