2015-02-20 20:02:00

Tre attentati dell'Is nell'est della Libia: 47 i morti


Attentati, orrore e morte. La strategia del sedicente Stato Islamico rimane la stessa. I jihadisti anzi allargano il fronte delle azioni armate. Siria, Iraq e ora anche Libia, dove gli ultimi attentati hanno causato almeno 47 morti. Il servizio di Giancarlo La Vella:

Sale di ora in ora il bilancio dei tre attentati kamikaze, rivendicati dall’Is, che hanno colpito Gubba, nell'est della Libia. Ma tanti i 65 feriti che versano in condizioni gravissime. Per commemorare le vittime sono stati proclamati tre giorni di lutto. Intanto continua l’esodo dei lavoratori egiziani dalla Libia. Il Cairo fa sapere che tutto è pronto per il rimpatrio in aereo di circa 2 mila persone, per loro è pronto un lavoro in patria, ma ne rimangono tantissimi ancora in territorio libico, potenziali obiettivi dei jihadisti. Le azioni armate continuano anche in Siria, già devastata da una guerra civile senza fine. Il Segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, ha chiesto alle parti di trovare una soluzione politica per mettere fine alla sofferenza del popolo siriano. L’Is mette a ferro e fuoco anche l’Iraq. Oltre 2 milioni e mezzo le persone in fuga, mentre Inoltre lo Stato Islamico ha giustiziato 150 civili nell'ovest dell'Iraq nel tentativo di prendere il controllo della città di al-Baghdadi, ad appena cinque chilometri dalla base di Ain al-Asad dove circa trecento marine americani addestrano truppe irachene. Per quanto sta accadendo nei vari Paesi colpiti dall’estremismo islamico, il presidente Usa Obama ha parlato di genocidio. 

“Non c’è più tempo per trascurare la situazione tragica umanitaria e sanitaria che da mesi regna in Libia, la stabilizzazione del Paese è necessaria soprattutto per la popolazione. E’ quanto dice il prof. Aldo Morrone, presidente dell’Istituto mediterraneo di ematologia, che più volte è stato ed ha operato in Libia. La sua testimonianza al microfono di Cecilia Seppia:

R. – Purtroppo, la situazione sanitaria, negli ultimi tre anni, è decisamente peggiorata. C’è stato un tentativo di rialzarla attraverso l’assunzione di medici ed infermieri dalle Filippine, dopo che i medici locali sono fuggiti, ma la situazione è degenerata. Adesso non c’è un’assistenza sanitaria né per i libici, né per quell’uno o due milioni – probabilmente – di immigrati irregolari che sono presenti sul territorio libico. Oltre alle medicine, quello che soprattutto comincia a scarseggiare sono le risorse alimentari: non c’è da mangiare e non c’è acqua potabile per tutti. La situazione è drammatica e questo determina anche un peggioramento delle condizioni di salute di chi già poteva sufficientemente vivere.

D. – Gli ultimi degli ultimi, in questo scenario di conflitto, sono proprio i migranti. Però, ci si deve interrogare anche sulla popolazione locale: penso a Sirte, stretta sotto assedio in questi giorni dalla Stato islamico… Anche lì, sul terreno, immagino che la vita dei bambini, delle donne e degli adulti sia difficile e che non ci sia possibilità di curarli…

R. – Quello che abbiamo trovato noi è stata una situazione drammatica ed erano i giorni del conflitto tra le forze lealiste di Gheddafi e le forze rivoluzionarie. Successivamente, abbiamo lavorato altri due anni per tentare di collaborare alla formazione e alla strutturazione di un servizio sanitario che potesse essere, in qualche modo, universale per tutti. Ma ovviamente accadeva che soltanto le persone che potevano permetterselo avevano un servizio sanitario, gli altri no. All’interno di questo, pagavano un prezzo gravissimo i libici più poveri e gli immigrati. All’interno di questa situazione ancora più drammatica, soprattutto le persone ferite dalla guerra – e quindi ferite, ustionate o comunque con patologie legate agli eventi bellici – erano quelle meno curate…

D. – Lei è stato lì diverse volte nel dopo-Gheddafi, in una fase anche molto caotica. Che Paese ha trovato?

R. – Quello che ho trovato, da una parte, è stato un Paese con un forte entusiasmo di tentare di ritrovare democrazia e partecipazione, dall’altro una situazione che lentamente è andata sempre più in una prospettiva di caos totale, con gli studenti – soprattutto uomini, ma anche donne – che avevano una grande volontà di cambiare il Paese, di restituire dignità, salute, investimenti proprio sulla sanità. In questo Paese ho incontrato diverse volte i responsabilità della sanità locali, che sono stati poi mortalmente umiliati in questi ultimi mesi.

D. – Durante i bombardamenti, sono andati distrutti anche alcuni ospedali. Dove vengono curati i feriti, i sopravvissuti, quando non c’è una struttura sanitaria che li possa accogliere?

R. – Devo dire che i pochi medici che continuano a rimanere lì sono straordinari, sono degli eroi, così come lo sono gli infermieri, che ho conosciuto personalmente, perché anche nelle condizioni degli ospedali, della parte sana che è rimasta e che non è ridotta in macerie, riescono ad intervenire. Io ho delle riprese – e alcune immagini me le hanno mandate proprio in questi giorni – di interventi chirurgici di urgenza nelle condizioni più drammatiche e in posti improbabili.

D. – Qual è il suo appello? Che cosa si deve fare in questo scenario?

R. – E’ un Paese che è grande quasi sei volte l’Italia, con una popolazione di soli 5-6 milioni di abitanti, più 1-2 milioni probabilmente di abitanti irregolari, di cui non abbiamo notizia, e che sono poi gli immigrati che vengono sfruttati in Libia. C’è bisogno di una partenza, di un impegno da parte dell’Occidente, di un impegno da parte di Stati Uniti e da parte delle Nazioni Unite in particolare per dare stabilità e fiducia a questo Paese, investendo però in questo Paese, e una soluzione politica che consenta di eliminare questi scontri, che già c’erano quando noi eravamo lì – dal 2011 al 2013 – tra le diverse fazioni. Ricordo ed è un punto importante: vengono ancora utilizzate armi che erano state vendute al regime di Gheddafi e poi ovviamente procurate dai vari gruppi prodotte in Occidente.








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