2015-02-16 18:50:00

Libia: raid contro l'Is da Egitto e aviazione interna


Massiccia la controffensiva in Libia sulle postazioni del sedicente Stato Islamico da parte dell’aviazione locale ed egiziana. Intanto la Francia chiede con urgenza una riunione del Consiglio di sicurezza dell’Onu, mentre l’Italia fa sapere che non è il momento per un intervento militare. Ma il premier libico al Thani avverte: “Se non fermata, la minaccia jihadista dilagherà in Europa”. I particolari da Paola Simonetti: 

La controffensiva militare su obiettivi sensibili da parte dell’aviazione libica ed egiziana oggi è stata incessante e mirata. Almeno 64 i militanti dell’Is uccisi. Ma giunge notizia anche di 35 egiziani rapiti dopo i raid in zone controllate dai jihadisti. La situazione in Libia tiene in tensione molta parte dell’Europa. Il presidente francese, Hollande, preme insieme al presidente egiziano al Sisi per una immediata riunione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu. Cauta l’Italia: per il premier Renzi non è tempo per un intervento miliare senza una mossa dell'Onu, ma il Paese, dice, non volterà la testa. Gli interventi militari non risolverebbero una situazione caotica, secondo il ricercatore dell’Ispi per il Medioriente, Stefano Torelli, che vede nella diplomazia l’unica chiave possibile. Giada Aquilino lo ha intervistato:

R. – In realtà la situazione è sostanzialmente quella di poco tempo fa, chiaramente con l’aggiunta della “conquista” - ancora non è chiaro se si possa dire così - della città di Sirte da parte di gruppi jihadisti legati, se non altro a livello di affiliazione, all’Is, allo Stato islamico.

D. – Quindi quali forze agiscono in questo momento in Libia?

R. – La Libia è ormai spaccata, divisa in almeno tre blocchi principali. Da un lato vi è la divisione in atto da un anno tra il governo di Tobruk, che è quello scaturito dalle ultime elezioni del giugno scorso, sotto l’influenza del generale Haftar, e le forze che sono a Tripoli, legate anche alle milizie di Misurata, che sono ritenute essere le forze più islamiche. Ma parliamo sempre di un islam politico, afferente alla Fratellanza musulmana. Tra queste due forze si è inserita con sempre maggiore veemenza la presenza di gruppi jihadisti, che avevano la loro roccaforte a Derna e che adesso stanno avanzando fino a Sirte, con l’intenzione - secondo alcune fonti - di continuare verso Tripoli.

D. – D’altra parte, le formazioni jihadiste si dice che siano attive in Libia da diverso tempo…

R. – Nonostante la rilevanza mediatica di questi ultimi giorni, legata chiaramente alla contingenza di questa nuova battaglia di Sirte, non è assolutamente una novità la presenza di guerriglieri afferenti al jihadismo e affiliati allo Stato Islamico che è presente in Iraq e in Siria. Ma non si tratta materialmente, come qualcuno ha erroneamente interpretato, dell’Isis che dall’Iraq o dalla Siria avanza ed è arrivato fino in Libia. Si tratta di gruppi autoctoni che pian piano si sono radicalizzati, quindi hanno sviluppato un’ideologia e anche un modus operandi dei gruppi jihadisti e che in qualche modo hanno dichiarato la loro affiliazione allo Stato Islamico. In questo senso si parla di Isis in Libia. Tra l’altro, questo fenomeno per alcuni versi potrebbe anche essere percepito o inteso come un fenomeno pure più pericoloso: cioè, la nascita di gruppi locali in altre parti del mondo – soprattutto, per adesso, nel mondo arabo – oltre all’Iraq e alla Siria, che dichiarano la loro affiliazione all’Is.

D. – Lei pensa agli estremisti del Sinai egiziano, dell’Algeria, del Mali e, perché no, di Boko Haram in Nigeria o di altre formazioni in Somalia, Sudan?

R. – Esatto. Poi, tra l’altro, anche qui ogni contesto, ogni gruppo è a sé. Per esempio, in Nigeria Boko Haram e in Somalia al Shabaab erano gruppi attivi ben prima di questo exploit dell’Is. Quello che sta accadendo nel Sinai con Bayt al-Maqdis è qualcosa di molto simile a quello che accade in Libia: quello sì, è un fenomeno relativamente nuovo, appunto di gruppi locali che però hanno assunto le caratteristiche dell’Is, con un’ideologia comune, che avvicina tutti questi gruppi: quella – se vogliamo – un po’ ‘utopistica’ della creazione di un califfato o Stato Islamico su tutti i territori arabi.

D. – Francia ed Egitto invocano una riunione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu per misure urgenti contro le formazioni jihadiste. L’Italia, minacciata dai fatti libici, parla di un intervento militare nel quadro di un’operazione internazionale: la diplomazia ora che ruolo può giocare?

R. – Prima di tutto sarebbe il caso nuovamente di riflettere bene su quali possano essere gli scenari di un possibile intervento armato che, tra l’altro, alle condizioni attuali - nonostante alcuni proclami - mi sembra inverosimile, da un certo punto di vista. Perché comunque il contesto in Libia è una situazione di spaccatura totale: non dobbiamo dimenticare che prim’ancora della presenza e dell’attività di questi gruppi jihadisti, in Libia era in corso comunque un conflitto tra due parti in gioco. Quindi, prima di tutto ci sarebbe da operare una sorta di azione diplomatica volta a una riconciliazione nazionale e poi, chiaramente, certo, c’è anche l’aspetto della sicurezza. Però, senza questo intervento strutturale di riconciliazione tra le parti in gioco, vedo difficile qualsiasi tipo di soluzione a medio o lungo termine.

Ma intanto il governo libico dal canto suo invece esorta la comunità internazionale a non esitare e a sferrare un'offensiva aerea per stanare i jihadisti, "altrimenti -avverte- la minaccia dilagherà nei Paesi europei, in Italia soprattutto". 

 








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