2015-02-15 14:06:00

Sierra Leone: di nuovo allarme ebola, in quarantena 700 case


Sierra Leone sotto choc dopo la decisione del governo di mettere in quarantena circa settecento abitazioni in un quartiere costiero della capitale Freetown, dopo la morte di un pescatore della zona, risultato positivo al virus dell’Ebola. Il provvedimento, che avrà una durata di almeno tre settimane, giunge a meno di un mese dalla revoca delle pesanti restrizioni agli spostamenti in vigore nel Paese africano dal luglio dell'anno scorso. Con quasi 11.000 casi di contagio e oltre 3.600 decessi, la Sierra Leone risulta aver pagato il tributo in assoluto più grave al virus portatore della letale febbre emorragica. Negli ultimi giorni, l'Organizzazione Mondiale della Sanità aveva lanciato l’allarme per un aumento dei casi per la seconda settimana consecutiva, mentre in altri Paesi, come Liberia e Guinea, stanno riaprendo le scuole, dopo sette mesi di chiusura dovuta all'emergenza Ebola. Ma qual è ora la situazione nella Sierra Leone, scossa dal nuovo periodo di quarantena? Giada Aquilino ha raggiunto telefonicamente a Freetown padre Maurizio Boa, della congregazione dei Giuseppini del Murialdo:

R. – E’ stato come un fulmine a ciel sereno, perché sembrava proprio che il contagio stesse diminuendo. Invece, in questi giorni, è un completo disastro. Quello che mi colpisce di più sono le morti a grappolo: 6-8-10 per famiglia, anche di più. Ebola entra, infetta uno e fa morire tutti! Un immane dolore per chi resta, i ‘survivors’, che hanno seriamente bisogno di vicinanza ed affetto. Ieri è morta la nostra segretaria, la segretaria della scuola Murialdo Vocational Institute. Era incinta, aveva dato alla luce un bambino ed è morta di Ebola. Tre suoi familiari sono morti e altri 10 sono infettati. Non si capisce questo colpo di coda di Ebola: che cosa stia succedendo e perché. Eppure c’è continua attenzione da parte della gente, ancora nessuno si tocca. Addirittura si sta parlando su come poter dare le Ceneri, senza toccare le persone per evitare così ogni contatto e ogni contagio.

D. – Cosa è successo al bambino?

R. – E’ morto con la mamma… Era una ragazza solare, allegra, servizievole verso gli studenti, contenta di questa gravidanza. Erano tre giorni che la cercavamo, perché era andata via da Kambia e non sapevamo dove l’avessero portata: sino a quando, ieri, abbiamo avuto la notizia della sua morte. Siamo andati a seppellirla con il team Ebola.

D. – Ora qual è la situazione? La popolazione come affronta questo momento?

R. – Sono due posti isolati, due opposti quartieri: uno a Kambia e uno a Freetown. Nelle altre zone siamo vicini a zero, se non a zero per quanto riguarda il numero dei contagi, ma qui il virus è proprio esploso.

D. – Come vengono curati quanti colpiti dal virus, ma anche dalle altre malattie endemiche del Paese?

R.- Ci sono diversi centri ben attrezzati, soprattutto quello di Emergency, che hanno macchinari per cambiare il sangue e mettere quello delle persone che hanno avuto Ebola e sono guarite. Ci sono anche dei medicinali, ma su questo ci sono parecchie opinioni diverse: qualcuno dice che vanno bene, qualcun altro no, perché non sono stati sufficientemente testati. Si fa quel che si può. Molti guariscano - e questo è un buon segno - quando vengono presi in tempo e trattati nel giusto modo.

D. – Ci sono altre malattie che in questo momento preoccupano?

R. – La malaria, si cura con le medicine. Ma secondo me le donne incinte sono quelle che hanno più problemi, perché nessuno vuol toccarle: negli ospedali e da lì le mandano a destra e a sinistra, prima di riuscire ad avere pace e tranquillità per mettere alla luce il loro bambino.

D. – Un’altra faccia del dramma del virus è quella dei bambini rimasti orfani. Secondo l’Unicef sarebbero 16 mila tra Guinea, Liberia e Sierra Leone. Voi, come comunità dei Giuseppini, come vi impegnate al riguardo?

R. – Io posso parlare per Waterloo: Waterloo è un ex aeroporto militare della Seconda Guerra Mondiale che è diventato un campo profughi nel ’91 per ospitare i profughi della Liberia e poi quelli della guerra della Sierra Leone. Oggi è un villaggio, che si chiama ‘Kissi Town’. Sono oltre 20 mila i residenti. C’è stata una esplosione di Ebola in settembre, ottobre e novembre: poi con l’intervento di Emergency i numeri sono calati immediatamente. Però sono rimasti 134 orfani e le vedove. Noi stiamo lavorando per loro. Gli orfani hanno trovato delle famiglie che li ospitano per adesso e stiamo aspettando il dopo-ebola per avere numeri certi, situazioni sicure e vedere poi cosa si può fare. Intanto diamo cibo, alloggio, vestiario a questi bambini; e lo stesso per le vedove, che sono senza marito e hanno dei figli, anche bambini piccoli: diamo loro vitto, soldi. Cosa si può fare? Bisogna sostenerle, perché lavoro non ce n’è per nessuno. E poi, pian piano, vedremo cosa si potrà fare. Noi speravamo tanto che alla fine di marzo si riaprissero le scuole: questo sarebbe un grande respiro per tutti. Invece, chissà! La nostra speranza è che torni tutto come prima, con la serenità, la gioia per la vita, la voglia di fare. Purtroppo però è un po’ lontana questa speranza oggi, più lontana di ieri.








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