2015-02-13 14:15:00

Mons. Menichelli: non tradire verità, esercitare misericordia


Tra i 20 nuovi cardinali che saranno creati in San Pietro c’è anche l’arcivescovo di Ancona Edoardo Menichelli. Fabio Colagrande gli ha chiesto con quali sentimenti si appresti a vivere questo evento:

R. – Con sentimenti contrastanti: c’è la gioia, la contentezza, la sorpresa. Dall’altra parte, però, con un grande interrogativo, vale a dire: perché questo? Senza enfasi di nessun tipo, la domanda più semplice è: cosa vuole Dio da me? Perché credo che nello spirito ecclesiale che dobbiamo vivere, ogni battezzato, quindi anche un vescovo, un cardinale, deve pensare che ad una chiamata c’è una risposta e c’è una responsabilità. Però questo, naturalmente, mette nel cuore sentimenti contrastanti, che sono l’incapacità per un verso, la buona volontà dall’altro, il desiderio del Santo Padre …

D. – Il Papa ha messo in guardia voi nuovi cardinali dalla mondanità che – ha detto – è più pericolosa della grappa a digiuno: questo per lei, come per gli altri cardinali, è un periodo di festeggiamenti, di congratulazioni. C’è questo rischio?

R. – Nell’umano c’è sempre questo rischio. Ho sempre portato avanti un’idea che mi disse uno dei tanti vescovi che mi hanno seguito nella vita diocesana: mons. Frattegiani. Un giorno, prendendomi sottobraccio, mi disse: “Ricordati, Edoardo, che non c’è mai domenica senza venerdì”. Allora, credo che si debba mettere insieme – al di là delle battute come questa, che pure è molto significativa – la debolezza, il peccato, la vanità e dall’altra parte il desiderio di non cadere in questi tranelli che fanno parte dell’umano ma che non corrispondono minimamente alla figura del discepolo di Cristo.

D. – Per usare il gergo di Papa Francesco, anche un cardinale deve avere l’odore delle pecore…

R. – Molto. Molto. Visto che siamo alla Radio Vaticana, dico una cosa che ancora non ho detto al Santo Padre ma gli dirò: la mia storia umana è stata una storia piuttosto tribolata. Ho perso i miei genitori nello stesso anno, perché sono morti tutti e due quando avevo 11 anni: facevo il primo anno di avviamento professionale alla scuola pubblica. Mio nonno, che mi prese in carico come tutore – a quel tempo si diceva così – mi disse: “Edoardo, bisogna lasciare la scuola e andare a lavorare”. E che lavoro ho fatto? Il lavoro in cui eravamo insieme a un altro ragazzo, in due, sentivamo proprio l’odore delle pecore, cioè raccoglievamo il gregge del paese e sappiamo noi quanto abbiamo tribolato con il gregge e che odore ha il gregge! Tante volte ho pensato – anche dopo la nomina a vescovo – come quell’esperienza mi sia stata di utilità: quasi una sorta di profezia … Uscendo dall’immagine della cosa, sì, bisogna stare vicini alla gente. Oggi la gente più che i grandi discorsi ama la vicinanza, ama la consolazione, ama la misericordia, perché di questo ha bisogno. Non è che la ama così, per sfizio: la ama perché tutto questo è il deficit che la società di oggi sopporta e vive e incarna. Allora credo che stando vicino alle persone, uno sente quel famoso odore, ma soprattutto si arricchisce perché è dall’incontro con le persone che tu ti arricchisci.

D. – Lei ha partecipato al Sinodo straordinario dedicato alla famiglia; ora a ottobre la tappa conclusiva, il Sinodo ordinario. La vera sfida è quella tra dottrina e misericordia?

R. – Credo che sia proprio così. Io non so se parteciperò al prossimo Sinodo, però la sfida è proprio qui: non tradire la verità, esercitare la misericordia. Tutto questo è possibile se ognuno di noi si rende conto e crede che verità e misericordia hanno la stessa sorgente, che è Gesù Cristo. Allora, non credo che Gesù Cristo ci abbia insegnato qualcosa che si elide; ci ha consegnato se stesso che, messo insieme, fa la salvezza. Allora noi, nel tempo moderno, dobbiamo offrire la Parola di Dio – ecco la verità – ma dentro un percorso dell’umano, che necessita del perdono, della misericordia, della tenerezza, della consolazione. Questa è la grande sfida e la grande fatica. Ne approfitto: però, aiutateci anche voi, a fare questo. All’inizio della domanda, lei mi ha detto: è una sfida? Qualcuno ci vede una specie di alterità: non è un’alterità; dobbiamo costruirla insieme. Dobbiamo costruirla insieme in un’esperienza che poi ognuno di noi, personalmente, fa. Ognuno di noi si specchia davanti alla Parola di Dio e poi dice: ma … adesso ho sbagliato, chiedo perdono. Questo è l’elemento che dobbiamo fare. Per ognuno di noi, per la nostra coscienza ma anche nelle nostre relazioni pastorali.

D. – Cosa prova pensando al fatto che nella lista dei nuovi 20 cardinali ce ne sono solo tre italiani? Questo significa davvero sentirsi, anche come porporati, inseriti in una Chiesa universale?

R. – Sicuramente! Forse eravamo abituati ad essere in soprannumero … In realtà credo che la Chiesa debba rispettare questa figura universale, per cui una Chiesa che vive ad Ancona è uguale a una Chiesa che vive in Myanmar o in qualche altro luogo: questo noi dobbiamo realizzare e fare, sempre.








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