2015-02-09 17:38:00

Foibe, esule istriano: 'bavaglio di stato' vera tragedia


"Nel 1943, dopo l'armistizio, iniziò la prima ondata di infoibamenti. Tra le altre vittime, io ricordo sempre anche un parente di mio padre, che per me è un martire, don Angelo Tarticchio. Torturato orribilmente e trucidato dalle bande slavo-comuniste di Tito, che gli cacciarono in testa del filo spinato come corona di spine e lo gettarono in una foiba". In occasione della dodicesima edizione del 'Giorno del ricordo', stabilito nel 2004 dal Parlamento italiano per ricordare la strage delle foibe e l'esodo giuliano-dalmata,  Piero Tarticchio, scrittore e pittore, esule istriano, racconta la tragedia di una famiglia che conta ben sette infoibati, tra i quali suo padre. "Ricordo i funerali di don Angelo, con la gente che piangeva e mio padre che mi stringeva la mano e non poteva immaginare che un anno e mezzo dopo avrebbe fatto la stessa fine". 

Trucidati perché italiani

Tarticchio, ipegnato da tempo a testimoniare quel genocidio nelle scuole italiane, prova a spiegare i motivi di quella barbara violenza che, tra il '43 e il '46, causò la morte, ai confini orientali d'Italia, di circa 11mila persone, in gran parte italiani, gettati nella voragini carsiche dette foibe dal regime jugoslavo del Maresciallo Tito. "La prima ondata di infoibamenti si accanì contro tutti quelli che avevano prestato servizio per lo Stato italiano, quindi gli insegnanti, i bidelli, i presidi, i funzionari delle poste, i sacerdoti, fra i quali il beato Francesco Bonifacio. Ma anche militi della guardia di finanza e carabinieri. Nella seconda ondata, dal '45, morì mio padre e altri miei parenti. L'accusa era quella di essere italiani, fascisti e sfruttatori del popolo".

Un esodo dimenticato

Piero Tarticchio fu uno dei 350.000 italiani che abbandonarono le loro case e loro terre nell'esodo giuliano-dalmata: "Io ero giovane e vissi quella fuga quasi come un'avventura", racconta. "Ma so che molti anziani morirono di crepacuore per quel distacco dalle propre radici". Ma perché il dramma di questi esuli è stato a lungo sottovalutato e dimenticato? "Noi scappavamo via dal regime comunista di Tito che veniva visto allora come un 'paradiso'. Per cui la parte 'rossa' dell'Italia ci considerava dei fascisti reazionari. Ma non eravamo fascisti, eravamo semplicemente degli italiani che chiedevano ad altri italiani di comprendere la loro tragedia e di farla conoscere. Ci sono voluti ben 57 anni prima che l'Italia riconoscesse a noi istriani, fiumani e  dalmati il diritto di entrare nella storia. Questo 'bavaglio di stato' è stato per noi la vera tragedia".  

Ricordare per riconciliare

Ma può oggi la memoria condivisa di quella strage e di quell'esodo, essere strumento di pacificazione? "Certamente - risponde Tarticchio - e non solo in Italia, ma anche in Slovenia e Croazia. Questa è l'unica via per potersi sentire davvero europei senza più nessuna acredine e animosità nei confronti degli altri Paesi". 








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