2015-02-08 16:30:00

Siria: Is, esecuzioni pubbliche a Raqqa e Aleppo


Non si fermano i bombardamenti dell’aviazione di Amman sulle roccaforti dello Stato islamico (Is), in risposta alla barbara uccisione del pilota giordano Muath al Kaseasbeh. Intanto, secondo alcune indiscrezioni della stampa statunitense, il Pentagono starebbe valutando l’invio di truppe di terra per combattere, insieme all’esercito iracheno, contro l'Is in una grande offensiva di primavera per riprendere la città di Mosul.

Ma nelle aree controllate dal Califfato non si fermano le brutalità. A Raqqa, in Siria, tre uomini accusati di essere "spie" sono stati decapitati in piazza, mentre ad Aleppo quattro uomini accusati di furto sono statti uccisi e poi crocefissi davanti a una folla di persone. E per una testimonianza su come si vive ad Aleppo, città devastata da cinque anni di guerra, sentiamo mons. Boutros Marayati, vescovo armeno-cattolico di Aleppo, al microfono di Michele Raviart:

R. – La situazione ad Aleppo è una situazione drammatica, molto tragica, perché manca tutto. Manca l’acqua, manca l’elettricità, la luce, il riscaldamento, la benzina, i medici sono andati via, non ci sono medicine, ma siamo lì, a vivere, per non dire a sopravvivere. E ci sentiamo un po’ abbandonati, dimenticati dall’Occidente e da tutto il mondo. E allora la nostra gente, i nostri fedeli vengono spesso da noi per chiedere: “Rimaniamo o partiamo? Cosa facciamo?”. E tu non puoi dire niente, davanti a questa tragedia.

D. – Come si vive nel quotidiano, ad Aleppo?

R. – Soprattutto manca la sicurezza. Arrivano razzi, bombe dalla zona dei jihadisti e due settimane fa anche la nostra cattedrale è stata colpita: è stata distrutta la cupola e il tetto della chiesa. E così la gente adesso pensa ad andare via. Già due terzi della popolazione dei cristiani armeni sono andati via; è rimasto un terzo di questa gente che ancora crede: crede alla pace, vuol rimanere. E soprattutto, quando hanno lanciato questo appello per un cessate il fuoco, tanti hanno ripreso fiducia e ancora ne hanno, ma diventano più pessimisti perché vedono che la situazione non è cambiata, al contrario: è peggiorata.

D. – Cosa fa la comunità armeno-cattolica?

R. – Noi apriamo solamente le nostre chiese per aiutare la gente. Arrivano aiuti: tutti sono diventati poveri e chiedono l’elemosina; quelli che aiutavano la Chiesa, sono ormai loro stessi bisognosi di aiuto. Ma sono anche stufi: come pensare che tu possa fare sempre la fila per aspettare una goccia d’acqua, aspettare la benzina, il cibo? Ma malgrado tutto, abbiamo aperto le scuole, i fedeli vengono in chiesa: tante chiese sono state distrutte, ma quelle che funzionano ancora sono piene!

D. – Come superate la paura per tutta la distruzione che c’è attorno a voi?

R. – Questo tipo di male, come si dice nel Vangelo, non si vince che con la preghiera e il digiuno. Allora noi chiediamo la pace. Come diceva un vescovo: queste cose si chiedono al Signore, con le lacrime. Ed è quello che adesso stiamo facendo nelle nostre comunità.

D. – Qual è il rapporto con le altre confessioni?

R. – In Aleppo, tutto si fa in modo “ecumenico”: non puoi essere cristiano cattolico da solo; o siamo insieme, o non siamo. Allora tutto quello che si fa, si fa tra ortodossi, cattolici e protestanti insieme e anche con i musulmani moderati. Tutto quello che si riesce a fare adesso è frutto di collaborazione, di solidarietà ecumenica e interreligiosa.








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