2015-02-04 16:24:00

Oscar Romero, il gesuita Czerny (Justitia et Pax): "Un pastore che sapeva ascoltare"


"Una persona ammirabile ma non una eccezione. Romero deve essere un modello per ogni pastore della Chiesa, missionario, religioso e non, per ciascun cristiano. Questo è il messaggio più profondo della notizia della sua prossima beatificazione, che come è stato Mons. Romero dobbiamo essere tutti, arrivando a dare la vita, ogni giorno, con tutte le conseguenze". P. Michael Czerny SJ, Segretario del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, ha conosciuto personalmente Oscar Romero in Salvador. All'indomani del Decreto firmato da Papa Francesco per il via libera alla Beatificazione del vescovo salvadoregno - ucciso dagli squadroni della morte su mandato del governo fascista della tormentata nazione sudamericana il 24 marzo 1980, mentre celebrava messa - il gesuita lo ricorda ai nostri microfoni.

 


"L’ultima volta che ho parlato con Romero era alcuni giorni prima della sua morte, quando lui aveva appena fatto ritorno dall’ultimo viaggio in Europa. Era molto preso dalle tensioni e dalle difficoltà in Salvador e anche perplesso e un po’ triste perché non sentiva molto appoggio qui. Per me il ricordo più forte è legato alle sue prediche nella cattedrale la domenica mattina. Una esperienza profonda. Il segreto della sua missione evangelizzatrice era che ascoltava. Non aveva paura di ascoltare la gente che soffriva, che camminava, che lottava. Ascoltando, ha imparato a leggere la realtà e il Vangelo contestualmente. Come fa Papa Francesco. Era importante evangelizzare nei termini di ciò che viveva il popolo di Dio. Romero incarna una perfetta integrazione fede-vita, non quella comoda, ma quella difficile della economia, della politica e della geopolitica di quel momento storico. Doveva affrontare questa sfida ogni giorno. Aveva più paura di ciò che soffriva la gente che paura per se stesso".

Il giornalista Ettore Masina, autore di una delle biografie dal titolo "L' arcivescovo deve morire. Oscar Romero e il suo popolo (Il Margine), racconta: "Ho avuto occasione di vivere un periodo in Salvador, un paese di terribile miseria ma anche di grande civiltà. La mia biografia su di lui è stata una impresa non solo letteraria ma anche una meditazione profonda sul dovere che i cattolici hanno di mostrarsi come avanguardie di una Chiesa che là diventava bussola tra i poveri. E' stata per me una occasione per pregare spesso". 

"Romero non aveva nulla a che vedere con la violenza e il terrorismo. Ha subito calunnie e infamie", precisa il prof. Sergio Tanzarella, Ordinario di Storia della Chiesa alla Pontificia Facoltà Teologica dell'Italia Meridionale e alla Università Gregoriana. "Guardando al futuro vivo con grande emozione questo momento perché nel tempo mi sono fatto carico di raccontare ai giovani seminaristi che non lo hanno conosciuto la vita e la morte di Romero. Negli anni novanta era guardata con sospetto questa figura. Le sue omelie, trasmesse dalla radio diocesana, non potevano non scatenare la reazione di coloro che in Salvador uccidevano e facevano scomparire decine di migliaia di persone. Il valore della sua beatificazione è soprattutto per noi, al di qua dell'America latina, e per altre figure di martirio che vanno riconosciute. Penso per esempio a don Peppino Diana, la cui vicenda ha una corrispondenza quasi perfetta con quella di Romero".








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