2015-02-03 16:40:00

Ravasi: tante donne succubi della "dittatura dell'estetica"


Le donne hanno un particolare sguardo sulla vita e sull’essere e su questo vogliamo confrontarci. È la convinzione del cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, che si accinge a presiedere la plenaria del suo dicastero, dal 4 al 7 febbraio, sul tema “Le culture femminili tra uguaglianza e differenza”. Le parole del porporato nell’intervista di Fabio Colagrande:

R. – Vorremmo semplicemente manifestare la consapevolezza che esiste uno sguardo sull’essere, sull’esistere, sul mondo, sulla vita, sull’esperienza, che è propria – ed è originale – delle donne. Ecco, questa è un po’ la tesi di fondo che naturalmente poi viene articolata in una serie di itinerari più precisi, che sono stati anche alla base di un documento, che consegniamo a tutti i membri della Plenaria e che è un documento che è stato preparato, però, da un gruppo di donne.

D. – Quanto la scelta di questo tema si collega alle ripetute affermazioni di Papa Francesco circa il ruolo, circa le responsabilità che le donne devono avere all’interno della Chiesa?

R. – Penso sia rilevante elencare i punti cardinali – sono quattro, tra l’altro – di questo documento, di questa analisi. Innanzitutto, c’è la questione della ricerca di un equilibrio tra uguaglianza e differenza, e su questo noi sappiamo che Papa Francesco ha dato parecchie volte delle indicazioni. Ma teniamo anche presente quanto questo crinale sia importante e delicato. In secondo luogo, io penso al tema della “generatività” e usiamo proprio questa espressione – che è diventata un po’ tecnica – in cui si va oltre la mera questione biologica, perché comprende la maternità. Ma la maternità femminile è anche espressa, per esempio, da coloro che non scelgono di generare, pensiamo alle religiose. In terzo luogo, il corpo – il corpo femminile – che è un segno non solo fisiologico, ma culturale. E da ultimo, poi, la presenza – e questo è il capitolo sul quale Papa Francesco ritorna spesso e anche noi abbiamo intenzione di riflettere – della donna nella Chiesa, con la sua partecipazione attiva.

D. – A proposito della dimensione del corpo femminile, un’affermazione che riguardava proprio il corpo, cioè “la chirurgia estetica è un burka di carne” è sui giornali, perché si è aperto un dibattito su questa forte affermazione, che è nel documento preparatorio. Come la spiega lei?

R. – Questa espressione è veramente forte e ha anche un po’ la funzione di provocare il dibattito. Si può persino parlare alcune volte, nei confronti del corpo della donna, quasi di una sorta di “dittatura estetica”, per cui la donna viene invitata necessariamente a obbedire a un modello – che è il modello della pubblicità, in ultima analisi, è un modello anche artificioso – e questo viene raggiunto attraverso questa forma di autodifesa. Per questo, si è usata questa espressione che è di una scrittrice: per indicare che, alla fine, è anche una non accettazione della propria corporeità. E’ però importante una chirurgia estetica che sia ricostruttiva, che abbia la funzione di ricomporre l’armonia con il proprio corpo. Sono quindi due volti ben diversi. Assumendo il primo, però, lo si vuole assumere in chiave simbolica, per rappresentare il fatto che si invita la donna a non essere capace di accogliere il suo corpo anche quando segnato da rughe, nell’autunno quasi della vita, pur conservando ancora tutto il suo fascino. Fermo restando che i grandi problemi sono altri: la violenza nel corpo della donna, l’uso mercificato del corpo della donna. E questo è uno dei problemi di una società spesse volte sessista, solo in chiave prevalentemente femminile.

D. – Al di là della chirurgia estetica, nel documento preparatorio si ricorda che forse anche la questione del “gender”, adesso tanto dibattuta, potrebbe nascere da una visione della disuguaglianza tra uomo e donna…

R. – Sì, questo è vero, noi non abbiamo voluto affrontare in maniera diretta il tema del gender, per due ragioni: prima di tutto, perché i nostri incontri sono molto limitati nel tempo e anche perché, secondo questo gruppo di donne, quando si affrontano alcuni temi specifici, ci si dimentica di costruire prima il quadro generale. E’ necessario prima riflettere in maniera sistematica sulla ricerca di un equilibrio tra uguaglianza e differenza. Perché, per esempio, in passato dominava il modello della subordinazione – la subordinazione della donna all’uomo – un modello secolare, che non ha ancora esaurito tutti i suoi effetti perversi. Si sta superando anche il modello della pura e semplice parità: la parità dei diritti, applicata meccanicamente, – le “quote rosa” – che pure è una conquista. Si cerca ormai di andare oltre anche quell’uguaglianza assoluta, che era alla base del gender, per proporre un nuovo modello, che forse è quello – io direi – della reciprocità nell’equivalenza e nella differenza.








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