2015-02-01 09:30:00

Al via raccolta firme per moratoria Onu su utero in affitto


Una richiesta all’Onu di indire una moratoria sull’utero in affitto. L’iniziativa lanciata dal quotidiano La Croce ha già raccolto in pochi giorni oltre 30 mila firme. Ad ispirarla è stata la vicenda di Sushma Pandey, la 17enne indiana morta a causa dei trattamenti ormonali propedeutici per una procedura di maternità surrogata acquistata in Occidente. Questa barbara pratica è oggi legale in India, Cina, Banghladesh, Thailandia, Russia, Ucraina, Grecia, Spagna, Regno Unito, Canada e in otto Stati Usa. Paolo Ondarza ha parlato di questa iniziativa con Mario Adinolfi, direttore del quotidiano La Croce:

Petizione per dire no ad una schiavizzazione delle donne
R. - La nostra risposta è partita dalla sentenza della Corte Europea che ha condannato l’Italia perché non riconosce la genitorialità derivante da utero in affitto. E abbiamo dedicato questa nostra petizione, proprio nel manifesto che la introduce, alle donne che hanno perso la salute e alcune volte la vita per i meccanismi di schiavizzazione da parte dei ricchi occidentali, che le hanno sottoposte a bombardamenti ormonali, interventi di stimolazioni ovarica: tutte pratiche che sono pericolose per la salute della donna. Quindi questa ipocrisia tremenda, secondo cui a casa propria si difende sempre la salute del corpo femminile, poi si va in India, si schiavizza una donna indiana per usare un figlio come oggetto di una compravendita, la troviamo intollerabile!

Utero in affitto. Pratica non sopportabile per l'umanità
D. – Perché proprio una moratoria?

R. – Perché in alcune nazioni del mondo è legale la pratica dell’utero in affitto. Noi chiediamo alle Nazioni Unite di addivenire ad una moratoria, cioè ad una pratica di blocco degli effetti di queste normative, in maniera che l’utero in affitto diventi una pratica, evidentemente a livello internazionale, non sopportabile per l’umanità. Perché consideriamo che il meccanismo che conduce alla compravendita di un essere umano e alla schiavizzazione del ruolo della donna, in termini di maternità, diventata oggetto di mercimonio, sia qualcosa di semplicemente intollerabile.

30 mila firme raccolte in pochi giorni. Obbiettivo: quota 300mila
D. – Quanta coscienza c’è in Italia su questo fenomeno?

R. – Siamo rimasti impressionati, perché in pochissimi giorni abbiamo raccolto già 30 mila firme e siamo pronti ad arrivare ad oltre 300 mila firme alla fine della campagna. Tra l’altro chiuderemo questa campagna per la moratoria Onu sull’utero in affitto con una grande iniziativa a Roma, al Palalottomatica, il 13 giugno: dunque un’iniziativa di popolo, in cui porteremo tutte le firme raccolte e diremo spero con nettezza anche al governo italiano, se vorrà farsi latore presso l’assemblea generale delle Nazioni Unite, di questa nostra richiesta che credo sarà sostenuta in maniera molto netta dal popolo del nostro Paese.

Una pratica che offende il corpo delle donne e rende i bambini oggetti di acquisto
D. – Una parola solo sulla terminologia “utero in affitto”…

R. – Sì, è una terminologia che viene spesso mascherata. Addirittura ci sono Stati che mascherano in termini legali: non si può usare l’espressione “utero in affitto”, pena essere persino perseguiti penalmente. Vengono usate espressioni come “gestazione per altri”, “gestazione di sostegno”, oppure gli acronimi Gpa, Gds, per togliere la fisicità dell’atto di compravendita, che colpisce e offende il corpo delle donne e rende i bambini oggetti di un acquisto. Noi, proprio perché le parole sono importanti, chiamiamo le cose con il loro nome: questa è una moratoria, è una richiesta di moratoria all’Onu, sull’utero in affitto, sulla schiavizzazione delle donne e sulla riduzione delle persone a cose.








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