2015-01-30 13:57:00

Timori per il blogger saudita condannato a mille frustate


Mentre in Arabia Saudita si assiste al rimpasto di governo dopo la morte de re Abdullah, non si spengono le polemiche per la vicenda del blogger, Raif Badawi, condannato a mille frustate per aver offeso l’Islam. Dopo le prime 50, le autorità hanno deciso di sospendere le altre sessioni nel timore di provocare danni permanenti. Secondo Amnesty International, sono oltre 30 i Paesi africani che non la vietano per legge e la tortura resta una pratica molto diffusa in Cina e Corea e in diversi Paesi dell’area ex sovietica, in crescita il suo ricorso in Messico. Benedetta Capelli ha intervistato in proposito il dott. Aldo Morrone, autore del libro “Oltre la tortura":

R. – Certamente, è una situazione drammatica che non si immaginava più che potesse accadere nel terzo millennio… Queste erano forme del passato, in cui si credeva che il dolore fisico potesse determinare un cambiamento di atteggiamento. Oggi, tutte le più recenti ricerche sulla tortura dimostrano assolutamente la totale follia di questi gesti e soprattutto gli effetti “post” che ottengono, oltre ad un danno che, in questi soggetti, diventa irreversibile sia dal punto di vista fisico che psichico.

D. – Cosa significa per lei, che è medico, insistere nella pratica della tortura su una persona che già l’ha subita?

R. – Significa annientare la capacità di pensare, di questa persona, la capacità della sua umanità, di essere umano. Un po’ come quello che insegnava Hannah Arendt nel tema della “banalità del male”: si crede che frustando una persona si possa avere un atteggiamento di cambiamento di opinione o un cambiamento di atteggiamento e questo è folle. In più, il rischio è che queste persone muoiano. Talvolta, accade la follia che siano presenti anche dei medici proprio per evitare che la persona muoia … Il Comitato internazionale per l’abrogazione della tortura nel mondo ha invitato ogni medico ad essere contrario anche ad una sola presenza ad avallare queste forme folli di atteggiamento.

D. – Dal punto di vista psicologico, poi, quali sono le conseguenze, e come un medico può riuscire a recuperare una persona vittima di tortura?

R. – La persona vittima di tortura soffre di un atteggiamento drammatico nei confronti della propria fiducia. E’ convinta di aver sbagliato qualche cosa, e le ferite sia fisiche sia psicologiche rimangono per anni e anni e anni. E una delle tematiche più drammatiche delle persone che hanno subito la tortura e rimangono vive è quella di pensare che possano aver sbagliato qualcosa, che possano aver detto qualcosa che abbia loro risparmiato la vita. Quindi, torturare una persona è letteralmente distruggerla, annientarla nel fisico e nella psiche. Ci vogliono anni e anni di riabilitazione fisica e anche psicologica, di supporto ambientale, familiare, mentale, per poter recuperare alla vita normale queste persone: è veramente difficile.

D. – C’è un’esperienza emblematica di riscatto, anche, di persone vittime di tortura che lei ha incontrato?

R. – Posso dire che la prima persona che ho incontrato tantissimi anni fa, per cui poi mi sono dedicato all’accoglienza e al prendersi cura di queste persone, è stata una vittima di tortura nell’Argentina del generale Videla: una persona che era stata torturata con gli aghi elettrici così tanto, che al solo ricordo e al solo rumore dell’ago elettrico, sveniva. Recentemente, c’è stata invece una situazione ancora più drammatica: è stata torturata una donna, in maniera violenta, nella propria intimità genitale, nella propria sessualità. E questa persona per anni e anni ha cercato in tutti i modi di reprimere e condannare la propria sessualità e la propria affettuosità e questo è stato un evento veramente drammatico. Abbiamo impiegato anni per recuperare alla vita e alla gioia della vita questa donna, che proveniva da uno di questi Paesi orientali.








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