2015-01-30 13:57:00

Sudan: Msf costretta a fermare aiuti sanitari in zone conflitto


Grandissimo rammarico da parte di Medici senza Frontiere (MsF) che si è vista costretta ad annunciare la chiusura delle proprie attività nelle aree di conflitto del Sudan. La dolorosa scelta dell’organizzazione umanitaria è stata presa poiché le autorità sudanesi hanno sistematicamente impedito l’accesso alle centinaia di migliaia di persone bloccate nelle aree del conflitto. Totale il divieto di accedere allo Stato del Blue Nile, ostacoli e blocchi che si registrano anche nel Darfur orientale e in quello meridionale. Marco Guerra ne ha parlato con il direttore del supporto alle operazioni, Stefano Zannini:

R. – Sono accadute tre cose negli ultimi anni: la prima, il sistematico diniego da parte delle autorità di Khartoum a verificare i bisogni della popolazione nello Stato del Blue Nile, che si trova nel Sud Est del Paese; la seconda: l’improvviso e, a nostro modo di vedere, ingiustificato arresto di alcuni dei nostri operatori nel Darfur che stavano portando soccorso medico alla popolazione, e la terza, l’arbitraria negazione di alcuni permessi di viaggi ad alcuni nostri colleghi che stavano andando nel Darfur a lavorare. Pensiamo che la misura sia francamente colma e che l’atteggiamento delle autorità di Khartoum oltre che irritante sia anche irresponsabile di fronte alla popolazione.

D. – Secondo quanto denunciato, un jet della forza aerea sudanese la scorsa settimana ha bombardato deliberatamente un ospedale di Medici senza Frontiere. Ma la situazione è davvero così deteriorata sul terreno?

R. – Sì, la situazione è molto grave nel Sud Kordofan, una regione controllata in parte dai movimenti ribelli; ci sono oltre 225mila sfollati. Purtroppo, il 20 gennaio un aereo delle forze armate sudanesi ha sganciato 13 bombe, due delle quali sono cadute all’interno del recinto ospedaliero ed altre 11 all’esterno. È un atteggiamento irresponsabile, deliberato, in quanto le forze armate sudanesi conoscono esattamente le coordinate del nostro ospedale; è un atteggiamento che mette a rischio la vita dei pazienti, degli operatori umanitari che vi lavorano e delle migliaia di persone che possono contare solamente sul nostro ospedale per poter ricevere cure mediche.

D. – In riferimento alle tre aree in cui operavate, parlate di azioni disperatamente necessarie, quindi rivolte alla popolazione. Com’è la situazione umanitaria in generale?

R. – Io penso che per inquadrare bene la situazione nel Sudan di oggi si possono utilizzare i dati delle persone che hanno disperatamente bisogno di aiuti: nella sola regione del Darfur ci sono circa 400mila sfollati che possono contare su un accesso molto limitato alle cure mediche; se poi allarghiamo il discorso all’intero Sudan, si contano circa 2 milioni e 300mila sfollati e si stima che oggi quasi sette milioni di persone abbiano bisogno di assistenza umanitaria immediata.

D. – Avete provato a riavviare un dialogo con le autorità di Khartoum?

R. – Di fatto il dialogo con le autorità di Khartoum è già in essere. Alcune delle nostre sezioni sono ancora presenti nel Paese ed operano. Il problema è legato alle operazioni umanitarie nelle zone di conflitto. In quelle zone per quanto abbiamo negoziato, per quanto abbiamo coinvolto attori molto importanti a livello nazionale ed internazionale, sistematicamente c’è sempre stato negato l’accesso. È una cosa estremamente grave, perché priva milioni di persone di assistenza assolutamente necessaria ed immediata.








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