2015-01-30 12:41:00

Siria, mons. Marayati: solo il perdono riporterà la pace


Sono almeno 44 le vittime e circa 70 i feriti di un duplice attentato che ha colpito questa mattina il centro di Baghdad. Lo riferisce l'agenzia di stampa locale "al Sumaria", secondo cui tra le vittime ci sarebbero diversi agenti di polizia e militari dell'esercito. Mentre  in Siria – secondo quanto riferito dall'Osservatorio  siriano – a oggi sono circa 350 villaggi intorno Kobane, la città a maggioranza curda, che restano ancora nelle mani dello Stato islamico. Sulla situazione attuale in Siria, Marina Tomarro ha intervistato mons. Boutros Marayati, Arcivescovo di Aleppo degli Armeni Cattolici:

R. – La situazione sta peggiorando, perché le condizioni di vita sono molto drammatiche, sono andate sempre indietro... Abbiamo un’ora di elettricità e di luce in tutta la giornata e un’ora per avere un po’ d’acqua. Qualche volta non abbiamo né elettricità, né acqua… Il cibo è scarso e in questo inverno così duro non c’è neanche la benzina, non c’è niente per riscaldarsi: vedi questi bambini, questa gente, questi vecchi che stanno sempre lì, con le coperte… Prima non era così. E poi, il governo lancia i barili sulla parte occupata dagli jihadisti e quegli jihadisti, al contrario, mandano razzi e colpi di mortaio sulla parte che è sotto il controllo del governo. In questa parte ci siamo noi, ci sono i quartieri cristiani e riceviamo tanti colpi di mortaio. L’ultima volta, ho qui le foto, è stata colpita della mia cattedrale, così come anche altre chiese… Perciò, non diciamo che la situazione si è calmata. Al contrario, è diventa ancora più drammatica, questo è quello che volevo dire. E la gente comincia a scappare e c’è un esodo ancora più forte di prima: prima speravamo ancora in una soluzione, ma vedono sul terreno che non cambia niente.

D. – E’ una situazione di forte caos, causata da più gruppi di ribelli…

R. – Questo è vero. Non c’è un gruppo di ribelli, ma sono tanti tanti gruppi e questo non ci aiuta per arrivare a un dialogo, perché per avere un dialogo è necessario avere qualcuno con chi parlare… Credo che adesso anche i ribelli, piano piano, si stiano organizzando per avere un portavoce, per avere qualcuno che possa parlare a nome loro. Ma – come diceva lei – ci sono realmente tanti, tanti diversi gruppi e non sappiamo chi ha rapito chi, in quale regioni si trovino i vescovi, in quale parte, sotto il controllo di chi... E questo è un altro dramma ancora, che non ci aiuta a riprendere questo processo di pace.

D. – Quanto riuscite a vivere una vita normale? Quanta voglia c’è di normalità ad Aleppo dove vive lei, ma in Siria in generale?

R. – In generale, questo è il nostro sogno, questo è il nostro desiderio. Questo è qualcosa che noi cerchiamo con tutto il cuore, ma sentiamo che la nostra voce è come fosse una voce del deserto: nessuno può aiutarci e neanche fa un passo, perché ci sono i grandi governi, i grandi poteri, che stanno lì a fare il loro gioco. Quindi, dovrebbe esserci un’intesa fra di loro, fra i grandi poteri, e poi piano piano si viene sul posto. Se sul terreno non c’è l’accordo dei grandi poteri - quello dell’Onu e quello dei grandi Paesi - rimaniamo lì, a non far nessun passo in avanti!

D. – Qual è il ruolo della Chiesa in questo momento? In che modo voi cercate di dare una mano a coloro che soffrono?

R. – Adesso la Chiesa è diventata un luogo per aiutare la gente, per la solidarietà. La Chiesa è diventata una grande "Caritas"... Ormai, non hanno più bisogno solo di lezioni di morale, di preghiere, ma hanno bisogno di aiuti! Ogni chiesa e ogni arcivescovado ha aperto un centro di accoglienza e di aiuto, senza alcuna discriminazione: ci sono anche musulmani, ortodossi, protestanti… Siamo aperti a tutti per aiutare questa gente in questo momento. Non vengono più solamente per le cose pastorali o religiose o canoniche, l’arcivescovado è diventato un centro di accoglienza e di aiuto.

D. – Lei spesso incontra le persone e sente la voce di coloro che vivono in questo momento in Siria: che cosa dicono? Quali sono le loro richieste?

R. – Quelli che vengono da noi hanno una sola domanda: rimaniamo o andiamo? Cosa ci dice la Chiesa? Ci date un consiglio: rimaniamo o andiamo? E lì si tratta veramente una questione alla quale non possiamo rispondere! Perché è una questione di coscienza e devono essere loro a prendere una decisione. Se vogliono rimanere, bisogna aiutarli a rimanere, ma vedono anche che non c’è alcun passo positivo in questo senso. Sono disperati e decidono di andare…

D. – Lei ha detto che “c’è tanta gente che ha le mani macchiate di sangue, ma noi crediamo nel perdono di Dio”. Ma allora è proprio la strada del perdono quella che deve condurre verso la pace?

R. – Senz’altro! Bisogna fare un processo di riconciliazione e quando c’è riconciliazione vuole dire un perdono: tutti e due devono perdonarsi. Così, attraverso questo perdono, ci si può riconciliare e ricominciare una nuova vita.








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