2015-01-25 12:17:00

Egitto: luci e ombre a quattro anni dalla caduta di Mubarak


E’ salito a 15 morti e 35 feriti il bilancio degli scontri fra sostenitori dei Fratelli musulmani e forze dell'ordine in Egitto avvenuti nel 4/o anniversario della Rivoluzione egiziana che culminò con la cacciata di Hosni Mubarak. Il governo ha anche prolungato di altri tre mesi il coprifuoco imposto sul Sinai settentrionale in ottobre dopo un sanguinoso attentato dinamitardo.  Ma qual è il significato della ricorrenza per il processo democratico del paese egiziano? Eugenio Bonanata lo ha chiesto ad Alberto Negri, analista internazionale de Il Sole 24 ore:

R. – Direi che non c’è anniversario più dimenticato di questo nell’ambito delle Primavere arabe. Un anniversario che quasi tutti cercano in qualche modo di dimenticare perché la Primavera araba egiziana aveva sollevato enormi speranze. Dopo la caduta di Ben Alì, quella di Mubarak sembrava schiudere una nuova era. Poi sappiamo come si è evoluta: con l’ascesa dei Fratelli musulmani che hanno vinto largamente le elezioni e hanno portato poi alla presidenza Morsi, ma si sono anche dimostrati capaci di tenere insieme le diverse anime del Paese. E poi, però, è arrivato l’intervento dei militari: un intervento duro, sanguinoso, che è stato sostenuto dall’esterno, dalle monarchie del Golfo e soprattutto dall’Arabia Saudita, che ha visto nei Fratelli musulmani un concorrente che potesse in qualche modo delegittimare la monarchia wahabita. In realtà, l’Egitto di oggi è ancora un Paese in pieno conflitto, non soltanto interno ma anche ai suoi confini. Pensiamo soltanto alla guerra jihadista nel Sinai. Insomma, questo quarto anniversario proietta luci e ombre su questo che è il maggiore Paese arabo, un Paese chiave per la stabilità della regione. E in realtà l’esperimento della Primavera araba è stato presto inghiottito da problematiche che in qualche modo si sono scoperchiate con la caduta dei rais.

D. – L’Egitto guarda alle elezioni parlamentari previste tra marzo e aprile. Con quale spirito affronterà questo appuntamento?

R. – Innanzitutto mi sembra che gli attentati a Parigi abbiano segnato un momento importante, perché abbiamo visto il generale Al Sisi prendere in mano un po’ la situazione cercando di sfruttare in qualche modo quello che era accaduto in Europa, per fare pressioni su Al Hazar, sugli imam, per cercare di avviare un programma capace di dare dell’islam una versione assai diversa da quella che danno i gruppi salafiti o jihadisti. Questo avrà un’influenza sulle elezioni. E sicuramente un’influenza avranno anche gli aspetti economici, cioè quelli di una possibile ripresa di un Paese che, non dimentichiamo, ha più di 80 milioni di abitanti e problemi sociali enormi.

D.  – Un’ultima battuta sulla nuova carta costituzionale, che vieta la creazione di partiti confessionali. Anche questa sembra essere una risposta al pericolo islamista; eppure, comunque, i Fratelli musulmani sono ancora attivi nel Paese…

R. – Ma non c’è dubbio. Come si poteva pensare di eliminare i Fratelli musulmani soltanto con la repressione? Sono scesi in clandestinità, come lo erano stati per molti anni. E questo alla fine rappresenta il vero problema, il vero pericolo per l’Egitto: cioè, il non sapere affrontare quella parte della società musulmana che tra l’altro ha votato Morsi in maniera preponderante. E  non dimentichiamoci quei milioni di persone che stavano in piazza Tahrir!. Certo, vietare i partiti confessionali è sicuramente una mossa per cercare in qualche modo di indirizzare il processo politico egiziano. Però, allo stesso tempo, ignorare che i Fratelli musulmani e i partiti islamici siano una buona parte dell’espressione politica degli egiziani può essere assai pericoloso, come si è rivelato pericoloso in passato.








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