2015-01-16 11:33:00

Mons. Fontana: difendere la dignità umana in Terra Santa


Affermare la dignità umana in Terra Santa: questo il tema al centro dell’annuale visita-pellegrinaggio nella regione da parte dell’Holy Land Coordination, organismo formato dai vescovi di Usa, Canada, Ue e Sud Africa che in questi giorni si sono recati a Gaza, Sderot, Hebron, Gerusalemme e Betlemme. Tra i partecipanti anche l’arcivescovo di Arezzo-Cortona-Sansepolcro, mons. Riccardo Fontana, che, al microfono di Eugenio Bonanata si sofferma su ciò che ha visto a Gaza:

R. – Io vengo dall’Umbria, dall’Umbria del terremoto del ’97, e ho rivisto tutto in terra come quella volta, solo che in Umbria si trattava della natura - il terremoto – e qui invece è stato un evento bellico: tutto distrutto e gente che vive fra le rovine, come nell’inferno dantesco, in situazioni di estrema povertà. Per esempio ho davanti agli occhi due anziani, malati di cancro, che durante la notte erano senza luce. Per fortuna il patriarca ha provveduto con le batterie delle macchine, in modo che se devono accendere la luce, ci sia.

D. – Anche Hebron è una città ferita?

R. – Sì, Hebron è una città ferita, ma è una città di 200mila abitanti, dove sono arrivate due comunità (ebraiche) dagli Stati Uniti d’America e dall’Australia che asseriscono che Hebron deve essere loro e hanno bloccato le strade del centro, dove non è possibile passare nemmeno in macchina per i palestinesi. Una situazione, quindi, di difficoltà. Vorrei, però, che non si attribuissero al mondo ebraico le cose che sono scelte di alcune piccole minoranze e forse di giochi della politica. La gente si accorge che così non si deve fare vivere nessuno.

D. – Come possiamo aiutare i cristiani in Terra Santa?

R. – Il vescovo di Oxford entrando dentro la scuola cattolica ha detto: “Avete bisogno? Possiamo aiutarvi? Vi manca il cibo, vi mancano i vestiti? Avete bisogno di strumenti elettronici?” Un ragazzo ha chiesto la parola e in maniera molto cortese, con un inglese perfetto, ha detto: “L’unica cosa di cui abbiamo veramente bisogno, purtroppo, non potete darcela: vogliamo essere considerati uomini con dignità”. vorrei che i nostri diciottenni di qua ragionassero così. Se le scuole cattoliche servono per far crescere la responsabilità in questa maniera, credo che sia proprio una bella risposta.

D. – Quanto è importante informare su ciò che succede in quelle città?

R. – E’ fondamentale, perché dà un’informazione corretta, sopra le parti. Noi non abbiamo interessi immediati nei riguardi della Terra Santa se non un amore grandissimo e vorremmo che andassero tutti d’accordo. Se lei permette, le voglio raccontare che nelle otto ore in cui ho fatto la fila davanti al confine di Gaza, è venuta una signora anziana ebrea e ha detto: “Che bello che i vescovi vadano a vedere quella povera gente, che trattano così male. Andategli a dire, per favore, che non tutti gli ebrei di Israele sono loro avversari e che siamo preoccupati per le condizioni di vita che hanno”. C’è da sperare che presto si riesca a trovare la via della pace.

D. – Informare rappresenta quindi una strada, una delle strade che bisogna praticare…

R.- Certamente sì, ma mi pare che la scelta di Pio XI di fornire il Vaticano di una Radio sia proprio in questo senso: fare in modo che ci sia una voce libera che arrivi a tutti.     

E al seguito della missione dell’Holy Land Coordination c’era la nostra collega della sezione inglese, Lydia O’Kane’s, che ha intervistato padre Gabriele Romanelli il quale da 10 anni gestisce un centro per bambini disabili a Betlemme:

R. – Noi abbiamo qua bambini handicappati e abbandonati o in grave bisogno, fisico e morale. La difficoltà più grave che incontriamo riguarda i bambini con diverse malattie: non ci sono solo bambini con sindrome di down, ma anche bambini schizofrenici. Quindi ciò che unisce questi bambini è che sono handicappati e abbandonati e in grave bisogno. L’aiuto morale lo riceviamo da tante brave persone che vengono pure come volontari. Abbiamo poi un gruppo di 12 impiegati, tra cui un dottore, un fisioterapista…

D. – I servizi che offrite stanno aumentando?

R. – Sì, per quanto possiamo, vorremmo che la casa sia la casa dove abitano i bambini e dove possiamo dare una risposta ai loro bisogni. Una difficoltà che troviamo è che solo alcuni bambini possono essere inviati ad altre istituzioni scolastiche e quindi noi abbiamo bisogno di offrire servizi scolastici all’interno della struttura. Già abbiamo cominciato a farlo, al fianco della fisioterapia, l’idroterapia, la musicoterapia e così via. Questi bambini vivranno tutta la vita con noi, in pratica sono adottati da noi, e quindi è necessario che trovino tutto quello che serve a loro per svilupparsi come persone e come figli di Dio.

 








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