2015-01-09 20:06:00

Francia: dopo i blitz i discorsi di Hollande e Obama


Dopo i drammatici blitz delle forze dell'ordine francesi, nei quali hanno perso la vita i tre attentatori jihadisti e quattro ostaggi, e che pongono fine a tre giorni di terrore, le parole accorate ed emoziaonate del presidente Francois Hollande. Questi fanatici non hanno nulla a che fare con la religione musulmana - ha detto il capo dell'Eliseo in un breve messaggio alla Nazione - riferendosi ai terroristi islamici autori del sanguinoso attacco al giornale satirico parigino, Charlie Hebdo, e dell'attacco in cui ha perso la vita una poliziotta. Le minacce nei confronti della Francia non sono finite - ha detto ancora -. Vi lancio un appello alla vigilanza, all'unità e alla mobilitazione. Dopo aver ringraziato le forze dell'ordine il presidente francese, ha anche detto che bisogna essere implacabili contro il
razzismo e l'antisemitismo, in relazione ad uno dei due blitz avvenuto in un negozio ebraico nel quale si era asserragliato un terrorista.

Discorso agli Stati Uniti anche del presidente americano, Barack Obama. Siamo al fianco della Francia - ha detto il capo della Casa Bianca -. I terroristi vogliono l'odio - ha sottolineato - noi siamo per la speranza e per la libertà.

E per un commento sulla risposta delle forze di sicurezza francesi ai due attentati e sul rischio che qualcosa del genere possa ripetersi, Giancarlo La Vella ha sentito Guido Olimpio, esperto di terrorismo internazionale e corrispondente del Corriere della Sera dagli Stati Uniti:

Un clima di terrore quello che si è vissuto oggi a Parigi e in tutta la Francia anche per i diversi attentati che si sono susseguiti, sparatorie e sequestro di persone, ma l’appello che si è levato da più parti è contro ogni forma di allarmismo e strumentalizzazione della paura. Sentiamo Alessandro Politi analista politico e strategico, al microfono di Cecilia Seppia:

R. – Bisogna evitare la manipolazione della paura. Quando la paura viene sfruttata per fini politici tutt’altro che puliti, allora bisogna stare attenti. Dobbiamo ricordarci che in Europa gli spagnoli hanno subito 200 morti, gli inglesi ne hanno subiti 50, e noi dal 2001 abbiamo zero morti, ma ne abbiamo 84 di mafia nel 2013. E’ bene stare attenti, ma di qui ad avere l’isteria del “siamo in guerra”, “una nuova guerra al terrore”, o di nuovo l’altra cosa campata in aria, che è lo scontro di civiltà, c’è molta distanza.

D. – Infatti, il danno collaterale dopo questo attacco alla redazione del Charlie Hebdo è proprio la convivenza tra "noi" e "loro", l’Occidente e i musulmani occidentali: c'è anche questo fenomeno dell'islamofobia, che si sta in qualche modo diffondendo…

R. – Io direi che ci sono alcuni strati di popolazione che sono stati sottoposti a una propaganda molto tenace nel corso di questi anni e che sono caduti in questa trappola. Io vivo in un quartiere altamente multietnico a Roma e non ho mai avuto problemi con i miei vicini musulmani. Questo quindi è un dato di fatto, di esperienza concreta, e non di allarmi lanciati ad arte. Questo deve continuare, se noi non vogliamo darla vinta ai terroristi e a chi sfrutta questi eventi tragici per farne dei guadagni politici.

D. – Come sta reagendo, secondo lei, la Francia in questo momento? Hollande ha voluto schierare 88 mila agenti per le strade, quindi la città è sostanzialmente sotto assedio…

R. – Mi sembra che schierare 88 mila persone risponda più a necessità di rassicurazione mediatica che non operativa. La gestione della caccia all’uomo è sempre una cosa molto difficile. Due persone quindi possono sfuggire attraverso la rete. Complessivamente, trovo una gestione professionale all’altezza di quelle che sono le tradizioni francesi, ma dietro c’è come un vuoto e questo purtroppo preoccupa ancora di più, perché questo vuoto non c’è soltanto in Francia. Ci sono troppe leadership che sono in realtà deboli e, per dirla con una vecchia frase, "liquide".

D. – Sembra che il mondo si sia svegliato – l’Europa in particolare – in questi giorni, come sempre succede dopo un attentato grave come questi. L’Italia che corre ai ripari, la storia dei “foreign fighters”... Forse, bisogna cercare di prevenire quantomeno questo tipo di cose con misure diverse…

R. – C’è un’attività di smontaggio sistematico della propaganda jihadista, che è stata fatta con il “fai da te” dalle comunità musulmane, ma che non è stata opportunamente aiutata dagli organi dello Stato, e questo purtroppo non solo in Italia. Questo è il punto carente più forte. E poi bisogna anche capire che il terrorismo è un’arma politica estremamente debole, che però ha il vantaggio di poter colpire quando vuole nei punti meno protetti.

D. – Lei è d’accordo con questa associazione, che da più parti è stata fatta, tra la tragedia dell’11 settembre e quanto è accaduto al Charlie Hebdo?

R. – Credo che quando abbiamo davanti la tragedia dell’11 settembre, con 2.700 morti, ripetere questa espressione per altri fatti rischia di inflazionare quei morti. Bisogna mantenere il senso delle proporzioni. Quindi è un fatto tragico, è un fatto che colpisce, però poi bisogna capire che queste cose possono succedere e che peraltro il terrorismo vero è concentrato in cinque Paesi in tutto il mondo e non sono Paesi prosperi: Pakistan, Afghanistan, India, Nigeria, Siria e Iraq. Questi sono i Paesi dove veramente il terrorismo impazza. Il resto, in realtà, è più mafia che terrorismo.

D. – L’allerta terrorismo, però, di fatto è stata innalzata in Francia, ma anche in Italia. Per quanto riguarda invece Roma, esiste un certo tipo di rischio?

R. – C’è stata, come dire, qualche dichiarazione da parte di Dāʿish, quello che noi chiamiamo volgarmente Isis, su Roma. Le minacce però a Charlie Hebdo sono state molto più mirate e molto più persistenti. Questo è un dato di fatto. O noi, quindi, siamo in grado di rispondere al tentativo terroristico con coraggio, oppure la diamo vinta proprio a questi, che peraltro sembrano essere degli elementi molto isolati alla fine, deboli.








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