I piani strategici del sedicente Stato islamico per la presa del potere non risparmiano l’infanzia. Secondo quanto denuncia l’Unicef sarebbero centinaia di migliaia i bambini coinvolti nel piano di chiusura delle scuole nelle zone conquistate dall’Is. Roberta Gisotti ha intervistato Andrea Iacomini, portavoce dell’Unicef Italia:
R. – In Siria si stima che circa 670 mila bambini vengano privati dell’educazione, dopo che le forze del sedicente Stato Islamico hanno ordinato la chiusura delle scuole per cambiare i piani di studio. A dicembre c’è stato un decreto dell’Is, che ordinava di fermare l’educazione nelle zone sotto il suo controllo, perché i programmi di studio dovevano essere rimodellati o ripensati. Quindi i bambini iscritti alle scuola elementari e secondarie delle zone di Al-Raqqa e Deir el-Zor, specialmente nelle zone rurali, e nella periferia di Aleppo sono stati coinvolti da queste chiusure.
D. – Questo contraddice i diritti fondamentali dei bambini…
R. – Sì! L’accesso all’istruzione è un diritto che deve essere sostenuto per tutti i bambini, indipendentemente da dove vivono o quanto siano difficili le circostanze in cui vivono. In questo caso le scuole sono un punto di stabilità per i bambini che vivono - non dimentichiamolo! - come i bambini siriani, più che mai in un momento di grandissima difficoltà, perché c’è un conflitto che entra nel suo quinto anno. E’ un fatto fondamentale per la loro esistenza. Non dimentichiamo neanche che ci sono stati 160 bambini uccisi e circa 350 rimasti feriti negli attacchi alle scuole in Siria solo lo scorso anno, ed è un bilancio che probabilmente rappresenta una stima al ribasso, proprio perché c’è una difficoltà di accesso ai dati. Oltre a questo non dimentichiamo che questo è un conflitto che fino ad oggi ha prodotto oltre 3 milioni di rifugiati, di cui la metà sono bambini. Quindi è una situazione di privazione di diritto allo studio che si va ad aggiungere ad un dramma che sembra non finire…
D. – Che cosa si può fare? Forse mettere in evidenza questo aspetto dei bambini può servire ad indicare la follia del progetto dello Stato Islamico…
R. – Io partirei da un dato fondamentale: le scuole devono essere rispettate come delle zone di pace e di rifugio sicuro, dove i bambini possono imparare senza paura e non vi devono - purtroppo - morire o essere feriti. L’Unicef, in questi mesi, ha invitato tutte le parti in conflitto a sostenere la responsabilità di proteggere i bambini, le scuole, le infrastrutture da questo conflitto. Ed è un appello che noi ripetiamo con grande urgenza proprio in questi giorni e in queste ore. Purtroppo – anche questo non dobbiamo dimenticarlo – c’è questa nuova forma di "reclutamento 2.0", che avviene proprio ai danni dei bambini reclutati come soldati dall’Is attraverso la Rete, che viene utilizzata per incitare la jihad; inoltre i bambini sono spesso costretti a subire situazioni molto gravi, come l’osservare crocifissioni, uccisioni, flagelli in qualsiasi luogo questi vengano presi, portati o appunto reclutati. Il dato fondamentale – secondo me – deve emergere in queste ore è che purtroppo tutte le recrudescenze di odio cui assistiamo vengono anche da conflitti come quello siriano, che dura da cinque anni e che non trova soluzione. La pace purtroppo, ancora una volta, è lontana e le conseguenze, specie sui bambini, sono enormi.
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