2015-01-03 13:23:00

Neonata abbandonata. Fondazione Rava: aiutare mamme in difficoltà


Il 2015 si è aperto con una storia che ha commosso l’Italia: quella di Daniela, la bimba prematura ma in buona salute, trovata il primo dell’anno nella culla termica dell’Ospedale Careggi di Firenze. Non è la prima volta che una culla riscaldata del progetto “Ninna ho”, promosso dalla Fondazione "Francesca Rava" e dal Network KPMG salva una vita. Era già accaduto a Roma e da allora queste eredi delle antiche “ruote” sono arrivate a Napoli, Padova, Milano, Parma e Varese. Al telefono con Roberta Barbi, la presidente della Fondazione, Mariavittoria Rava, esprime tutta la sua emozione:

R. - Io sono stata raggiunta da questa notizia mentre ero qui in Haiti dove l’abbandono dei bambini è molto frequente, ma per la disperazione delle mamme che sono davvero impossibilitate a curare i loro bambini. Spesso è davvero l’ultimo gesto d’amore, e pensare che in Italia ci siano situazioni così mi ha molto colpito ed è anche il motivo per cui la Fondazione Francesca Rava, insieme a KPMG, si è messa al servizio di questo progetto.

D. - Ovviamente la deposizione di un bimbo nella culla termica avviene in forma anonima. Vi siete fatti un’idea di chi potrebbe utilizzare queste culle?

R. - Stiamo proprio facendo, quest’anno, con la Società Italiana di Neonatologia e cento punti nascita in Italia, una ricerca per capire chi possano essere queste donne. I dati che sono emersi fino ad oggi dicono che le donne in difficoltà non sono solo, come si potrebbe immaginare, donne straniere, immigrate, ma anche donne giovani italiane che sono in situazioni di emarginazione sociale, difficoltà economica: giovani donne che si trovano ad aspettare un bambino senza averlo "pianificato" e senza il supporto della famiglia. Sono donne che non hanno neanche avuto il tempo di capire se il loro bambino stava bene o meno, perché magari hanno anche vissuto la gravidanza tenendola nascosta, mettendo a rischio la propria vita e la vita del loro bambino, non usufruendo delle cure che in Italia gli ospedali danno anche gratuitamente a tutte le donne con o senza permesso di soggiorno.

D. - Perché nonostante l’esistenza delle culle e la legislazione italiana che consente di partorire in assoluto anonimato leggiamo ancora di bimbi abbandonati nei cassonetti?

R. - Perché il lavoro è ancora all’inizio. Noi, come fondazione Francesca Rava insieme a KPMG, ci siamo messi a servizio di questo importante problema che sta nascendo ed è sempre più evidente in Italia, ma non ci si immaginava in questo modo perché siamo un "Paese evoluto". Abbiamo individuato questo problema e non è sicuramente risolvibile dal progetto “Ninna ho” in sé, ora. Il grande sforzo di comunicazione che noi stiamo mettendo in atto è quello di prevenire. Mi permetto di lanciare un appello a tutte le donne: mi rivolgo a tutte voi donne che siete in difficoltà, non abbiate paura, rivolgetevi all’ospedale! In anonimato sarete seguite e aiutate gratuitamente, anche se non avete il permesso di soggiorno, potrete partorire anche senza riconoscere il vostro bambino, e se deciderete di non riconoscerlo, sarà adottato da una famiglia che si prenderà cura di lui.

D. - Come è nato il progetto “Ninna ho”?

R. - Come tutti i progetti della Fondazione Francesca Rava, non è nato a tavolino, ma dal bisogno, dal grido che viene dai bambini e dalle donne in difficoltà. Cinque anni fa, intorno ai giorni di Natale, abbiamo sentito il professor Agosti, primario del reparto di Neonatologia dell’ospedale Del Ponte di Varese. Ci ha raccontato un caso che è finito su tutti i giornali e telegiornali: un bimbo abbandonato in un cassonetto al freddo e al gelo di quel periodo, trovato semi-assiderato e salvato per il rotto della cuffia perché un passante, o forse un netturbino, aveva sentito questo gemito che sembrava più di un gattino, ha frugato nell’immondizia e ha trovato questo piccolo corpicino. Questo fatto mi ha colpito tantissimo e, non da ultimo, ha colpito anche il primario che non aveva avuto mai casi di questo genere. Ci siamo detti: dobbiamo fare qualcosa. In quel periodo, quest’azienda che si chiama KPMG, che da anni segue e sostiene il nostro lavoro, doveva festeggiare i suoi 50 anni, così ci siamo detti: perché invece di festeggiare i vostri 50 anni con feste o celebrazioni, non dedicate questo vostro anniversario a un gesto importante di responsabilità sociale d’azienda? La risposta è stata immediata: sì, e insieme abbiamo costruito e realizzato le prime culle. C’è una grande lista d’attesa in tutta Italia in realtà, perché questa domanda e questa sensibilità ci è giunta da tantissimi punti nascita, da tantissimi primari, perché questo problema evidentemente è sentito nel territorio. Io penso, quindi, che questa sia solo la punta di un iceberg: questa bimba abbandonata nella culla di Firenze, è un allarme che deve essere sentito, ascoltato da tutti. La punta di un iceberg, di un problema che molto spesso è occulto: per una madre lasciare il proprio bambino non è un gesto di cattiveria, è sempre un gesto di disperazione.








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