2014-12-23 13:50:00

Teologo Dianich: il Papa parla alle persone non alla Curia


"Il Papa ha aperto il discorso alla Curia romana per gli auguri natalizi sottolineando che siamo 'persone e non numeri o soltanto denominazioni', ci ricorda perciò che la Curia è fatta di uomini e donne in carne e ossa che quindi hanno bisogno di fare l'esame di coscienza e convertirsi ogni giorno, come tutti noi". Il commento alle parole di Papa Francesco sulle cosiddette 15 'malattie curiali' è di don Severino Dianich, teologo, docente emerito alla facoltà teologica di Firenze, vicario episcopale per la pastorale della cultura e universitaria della diocesi di Pisa. 

"Francesco ha pronunciato questo discorso davanti alla Curia romana - ricorda Dianich - accentuando in qualche modo questo aspetto quando ha parlato di mali 'curiali'. Però, resta vero che il Papa ha voluto rivolgersi esclusivamente alle persone e non alle istituzioni. E sono rimasti pertanto delusi coloro che si attendevano dettagli sulla riforma della Curia dal punto di vista istituzionale". "E' ovvio perciò - continua il teologo - che l'esame di coscienza di Francesco, essendo rivolto ai membri della Curia come persone credenti, come cristiani, sia valido per tutti". "Per esempio, i burocrati dei nostri uffici ministeriali, provinciali o comunali, potrebbero meditare questo discorso del Papa con molto frutto". 

Tra i neologismi coniati dal Papa nel suo elenco di 'malattie curiali' ha colpito l'accenno al 'martalismo', ossia 'l'eccessiva operosità'. Può sembrare paradossale che il Pontefice se la prenda proprio con coloro che lavorano troppo. "Inventare le parole è un buon trucco per una buona comunicazione", sottolinea Dianich. "Ma questo ammonimento a coloro che lavorano troppo ha stupito anche me. Non so se questo accada davvero nella Curia romana, e in un certo senso mi auguro di sì. Mi auguro che tutti siano zelantissimi nel lavoro". "Ma, pensando alle realtà delle chiese più periferiche, come le nostre, è vero che a volte l'impianto organizzativo occupa tanto tempo, tante energie, che restano in secondo piano la preghiera, il rapporto con Dio e il rapporto con le persone, la cura degli affetti". "Pensate a cosa significa se in una parrocchia il parroco trascura i suoi malati, i suoi fedeli".   

Un'altra immagine che ha colpito è quella dell'alzheimer spirituale: la dimenticanza della storia della salvezza, della storia personale con il Signore. Si tratta di un male che può attecchire anche tra gli uomini di Chiesa? "Direi soprattutto", risponde don Dianich. "Perché proprio quando abbiamo una rocciosa certezza nella Resurrezione di Cristo e nelle presenza di Dio fra gli uomini nella persona di Gesù, proprio quando la nostra fede è solida, allora corriamo il rischio che la nostra fede si trasferisca alle forme con cui la viviamo". "Ma queste forme - continua don Dianich - debbono cambiare. Perché se la Chiesa è al servizio degli uomini, man mano che incontra una persona nuova deve cambiare le sue forme, il suo linguaggio, il suo dialogo, i suoi atteggiamenti, se vuol comunicare". "Invece, c'è spesso la tentazione di trasferire la nostra fede rocciosa alle forme con cui la viviamo e questo blocca l'evangelizzazione e produce enormi danni alla vita della Chiesa".        

Qualche commentatore ha intravisto nella diagnosi fatta dal Papa, delle 15 'malattie curuali', quasi una dichiarazione di impotenza. Ma don Dianich non è d'accordo. "Più che altro mi è sembrato di vedere un'operazione di demitizzazione delle istituzioni ecclesiastiche". "A volte, infatti, queste ultime vengono rivestite di un carattere sacrale, come se fossero intoccabili, esenti da qualsiasi critica". "Papa Francesco invece con grande libertà, come lo fa per sé stesso, quando chiede di pregare perché Dio gli perdoni i peccati, sottolinea anche i peccati degli uomini delle istituzioni". "Francesco richiama la necessità per gli uomini di Chiesa di 'umanizzarsi', ogni volta che c'è la tentazione di sentirsi al di sopra delle persone comuni, di sacralizzare la propria persona, la propra istituzione".

Per quanto riguarda infine la malattia della faccia 'funerea', don Dianich è convinto che oggi sia più diffusa del solito, specie in Occidente. "La Chiesa in Europa - spiega - non vive certamente una fase brillante della sua storia e quindi la sensazione che la Chiesa stia subendo un cammino di erosione e di decadenza, può creare questo atteggiamento cupo, pessimistico". "Così ci dimentichiamo che la nostra fede cristiana è prima di tutto una speranza e che, al di sopra delle nostre incapacità, c'è l'amore di Dio che guida la Chiesa e l'umanità". "Vivere con gioia anche i momenti di sconfitta e sofferenza, alla luce della speranza cristiana, è l'augurio migliore che possiamo farci per questo  Natale", conclude don Severino Dianich.    








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