2014-12-18 15:18:00

Fatebenefratelli: giovani disabili mentali, poche cure in Ue


C’è un “buco” generalizzato in Europa nei programmi di assistenza sanitaria per i giovani affetti disturbi mentali: tra i 14 e i 25-30 anni sovente mancano specifici protocolli di intervento, per cui migliaia di giovani questa fascia d’età rimangono in pratica senza cure, garantite invece dai Sistemi sanitari durante l’infanzia e nell’età adulta. Su questo aspetto, l’Unione Europea ha organizzato la Conferenza internazionale conclusasi a oggi a Venezia, alla quale hanno partecipato psichiatri, ricercatori e politici sul tema “La salute mentale dei giovani, dalla continuità della psicopatologia alla continuità dell’assistenza”. Il perché di questo deficit lo spiega, al microfono di Alessandro De Carolis, uno dei partecipanti all’incontro, fra Marco Fabello, dell’Ordine dei Fatebenefratelli:

R. – C’è una disorganizzazione nel sistema, per cui quando uno passa dall’adolescenza all’età adulta c’è quasi una frattura e i servizi territoriali fanno fatica a prendersi cura delle persone che raggiungono la maggiore età. E avviene anche il grande problema per cui abbandonando, oppure avendo meno la cura di queste persone in questa età così critica, la possibilità di recrudescenza e di cronicità della malattia diventa molto forte.

D. – Lo psichiatra dei Fatebenefratellli, Giovanni De Girolamo, che ha la responsabilità scientifica della Conferenza di Venezia, parla di “colossale sottovalutazione” del problema. Di che cifre parliamo?

R. – Il volume che noi vediamo anche attraverso la nostra piccola esperienza è molto grande. Noi stiamo quasi cambiando totalmente la popolazione che assistiamo: da piuttosto anziani a molto giovani. Il nostro piccolo osservatorio ci dice che la percentuale di giovani che stanno andando rapidamente verso la cronicità della loro situazione di malattia è molto alta.

D. – E’ possibile fare un esempio concreto che illustri questa difficoltà?

R. – Basta che un ragazzo di 14 anni durante l’età scolare non sia seguito attentamente quando ha i primi sintomi di una malattia mentale, psichiatrica, che lo stesso arriva rapidamente a un’età sui 18-20 anni, con i genitori o la famiglia che hanno paura ad avvicinare lo psichiatra – perché ancora esiste lo stigma che divide le famiglie e la società dal terapeuta, dal medico, dal clinico – e questo rapidamente dai 14 ai 18-20 anni ha sei anni di malattia non curata e quindi già questa è una situazione gravissima.

D. – Che cosa si sta facendo a livello europeo per garantire la continuità dell’assistenza?

R. – Da quello che sto sentendo, le diversità sono molto acute. Nel mondo anglosassone la situazione è certamente migliore che da noi, però ci sono situazioni, come nei Paesi africani, dove la psichiatria è ancora la “cenerentola” di tutta la medicina.

D.  – C’è un programma di aiuti da parte dell’Occidente verso questi Paesi in via di sviluppo?

R. – In questo momento, che io sappia, non direttamente. Ci sono studi, possibilità di ricerca e di sperimentazione che toccano anche i Paesi meno sviluppati. Da qui a dire che ci sia un’assistenza territoriale non sufficiente ma appena visibile, questo è da dimostrare.

D. – Nel settore qual è il contributo che portano i Fatebenefratelli?

R. – Il nostro contributo, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, dal punto di vista psichiatrico, è iniziato non moltissimi anni fa. Però, stiamo lavorando abbastanza bene in alcune strutture come in Togo e in altri Paesi, soprattutto in attività diurne, cercando di evitare quel problema che è l’istituzionalizzazione che tanto male ha fatto anche a tanti malati nel nostro Paese. Diciamo che superiamo la Legge 180 passando direttamente al territorio senza utilizzare il ricovero continuo, se non in rarissimi casi.

D. – Dal suo punto di vista di esperto che cosa si dovrebbe fare?

R. – Intanto, si dovrebbe avere più coscienza che queste persone meritano la stessa attenzione di tutti gli altri malati e questo ancora non c’è. La dignità di queste persone non è del tutto compresa e io credo che fino a quando non riusciremo a fare in modo di vedere queste persone non come diversi ma come uguali a noi, il percorso sarà duro e difficile. Io mi auguro e spero che con la scienza e con la coscienza si possa riuscire a dare alle persone malate di mente, ai giovani soprattutto, un avvenire migliore di oggi.








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