2014-12-17 14:03:00

Il conflitto in Libia. Allarme di Mali, Ciad e Senegal


In Libia, giornalmente si registrano scontri armati tra le opposte fazioni. Mentre l’Onu esorta al dialogo, cresce nei Paesi limitrofi la preoccupazione. I presidenti di Ciad, Mali e Senegal hanno lanciato un appello alla comunità internazionale affinché intervenga contro i gruppi islamici attivi nel sud del Paese, che minacciano la stabilità dell’intero Sahel. Sul rischio di regionalizzazione del conflitto libico, Giancarlo La Vella ha sentito Arturo Varvelli, ricercatore dell’Ispi, l'Istituto di Studi di politica internazionale:

Due schiaramenti contro
R. – In realtà, questa regionalizzazione del confronto sta avvenendo già da diversi mesi, cioè da quando la polarizzazione politica si è trasformata in polarizzazione militare con almeno due schieramenti – ma sono diverse le fazioni alleate in questi due schieramenti al momento – che si stanno affrontando sul territorio libico. C’è un coinvolgimento internazionale, perché naturalmente gli interessi non sono solamente interni, ma internazionali. Si tratta ovviamente di interessi economici, la Libia è un Paese molto ricco. Ed è questa la visione che coinvolge soprattutto, da una parte, Egitto, Arabia Saudita ed Emirati nello sponsorizzare, ad esempio, il governo di Tobruk e le forze del generale Haftar, e dall’altra parte vediamo invece altri attori, come la Turchia, il Qatar, sponsorizzare invece il governo di Tripoli. Quindi, questo coinvolgimento c’è già.

D. – C’è il rischio che, oltre a quello della regionalizzazione, come in Siria ed in Iraq prenda piede lo Stato islamico?

R. – Questo sta già avvenendo, perché ci sono degli emissari dello Stato islamico e ci sono, in particolare, delle fazioni che si sono apertamente dichiarate jihadiste e si sono messe sotto il "cappello" dell’Isis. Tuttavia, io non lancerei un allarme di questo tipo, perché le forze radicali sono fra loro frammentate.

Idee per una mediazione
D. – Da escludere dunque un intervento internazionale sul terreno?

R. – Secondo me, sarebbe negativo in questo momento. In realtà, quello che ci vuole è un’opera di mediazione tra queste potenze regionali e quelle europee e Stati Uniti, affinché si insista sulla possibilità di ristabilizzare il Paese attraverso la via di un dialogo nazionale e attraverso un’opera di moderazione tra le parti: riconvochiamo le parti in causa e cerchiamo di metterle intorno a un tavolo negoziale. Certamente, bisogna avere idee, spunti. Bisogna avere un’iniziativa politica più incisiva, ma bisogna anche ricordare che questo è il presupposto per la stabilità di un Paese. Dove ci sono Stati falliti, proliferano jihadismi. Le strade brevi di interventi armati, non hanno mai risolto il problema, anzi, mi pare l’abbiamo sempre più complicato.








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