2014-12-15 15:00:00

Turchia: blitz in 13 città, in manette giornalisti e politici


La polizia turca ha effettuato una serie di arresti nell'ambito di un'operazione lanciata contro esponenti politici e giornalisti legati a Fethullah Gulen, strenuo oppositore del premier Recep Tayyp Erdogan. Sdegno e condanna da parte di Stati Uniti e Unione Europea che chiedono ad Ankara di rispettare gli standard democratici. Sentiamo il servizio di Marco Guerra:

Il nuovo giro di vite contro l’opposizione in Turchia colpisce alcuni settori dell’impero di Fethullah Gulen, predicatore e politologo auto-esiliatosi negli Stati Uniti e uno dei principali rivali del presidente turco Erdogan. Il blitz in 13 città turche ha condotto in carcere almeno 27 persone, compresi politici e giornalisti. Nel mirino sono finiti in particolare il quotidiano più letto del Paese, Zaman – in manette il direttore Ekrem Dumanli - e una serie di dirigenti  di altre testate, fra cui un canale televisivo sempre vicino a Gulen. Decine i manifestanti radunati davanti la redazione di Zaman durante la perquisizione degli agenti. Dure le critiche espresse da Usa e Ue. Per l'Alto rappresentante della politica estera dell'Unione, Federica Mogherini, gli arresti “vanno contro gli standard a cui la Turchia aspira di fare parte”. Mentre il Dipartimento di Stato americano ha ricordato che “la libertà di stampa e un sistema giudiziario indipendente sono elementi chiave in ogni democrazia”. Gli arresti segnano una nuova escalation nella repressione del dissenso in Turchia. Gulen è infatti da tempo accusato dal presidente Erdogan di ordire un golpe utilizzando la propria influenza su magistrati, poliziotti e giornalisti.

Su questo giro di vite anti-dissenso Marco Guerra ha raccolto il commento di Valeria Talbot, responsabile del programma per il Mediterraneo e il Medio Oriente dell’Ispi:

R. - Fethullah Gülen e Erdogan sono stati stretti alleati nel corso dello scorso decennio per marginalizzare dalla vita politica della Turchia l’establishment militare e kemalista. Nel corso degli ultimi anni si è avuto un allentamento dei rapporti fino a giungere ad una rottura tra i due ex alleati, rottura che si è consumata lo scorso anno, quando il governo di Erdogan ha deciso di chiudere le scuole gestite dal movimento di Fetullah Gülen. Questo è un movimento che nel corso dei decenni ha avuto un’importante ruolo nel sistema dell’Istruzione. Grazie a questo sistema di istruzione il movimento Gülenista è riuscito anche ad assicurarsi una presenza capillare nelle importanti istituzioni dello Stato ma anche nella magistratura, nelle forze di polizia è in altri uffici chiave. Rottura che si è consumata lo scorso anno e che sta provocando innumerevoli tensioni tra le due anime dell’islam. Ricordiamo lo scorso anno, proprio a metà dicembre, scoppiava in Turchia lo scandalo di corruzione che ha investito il governo. Dietro a questa indagine, secondo le parole dello stesso Erdogan c’è il movimento di Fetullah Gülen.

R. – Rispetto alla repressione delle rivolte del Gezi Park del 2013 quale elemento di novità presenta questa nuova stretta?

R. - Si inserisce in una più ampia ondata di arresti che è nata lo scorso anno con l’avvio dell’indagine di corruzione cui facevo accenno prima. Un’ondata che ha portato a una stretta della libertà di espressione, ad un blocco anche dei social media per alcune settimane, lo scorso anno, anche ad una progressiva erosione di quel processo democratico che l’Akp aveva consolidato nel corso del primo mandato tra il 2002 e il 2005.

D. – Colpisce degli arresti di ieri le manette a diversi giornalisti. Qual è lo stato di salute della libertà di stampa in Turchia al momento?

R. – Nell’ultimo anno si sono fatti passi indietro nella libertà di stampa perché il governo di Erdogan ha attuato una stretta molto forte, un controllo molto forte. Nel rapporto dello scorso Anno dei Giornalisti senza frontiere la Turchia risultava insieme all’Iran e alla Cina il Paese con il più alto numero di giornalisti in prigione. Quindi un controllo capillare e anche, in alcuni casi, c’è un’autocensura da parte degli stessi giornalisti.

D. – Prima  lo scontro frontale con i militari, adesso anche quello con parte dell’islam moderato: la leadership di Erdogan sta avvitando su se stessa, sebbene goda ancora di una grande popolarità, soprattutto nelle fasce più basse…

R. – Erdogan gode di un ampio sostegno nel Paese e lo hanno dimostrato i risultati delle elezioni amministrative di marzo ma soprattutto le elezioni presidenziali di agosto del 2014. Un consenso che si basa su diversi fattori: innanzitutto, la crescita economica che ha conosciuto la Turchia dal 2002 a oggi, crescita economica che ha consentito lo sviluppo del Paese, e che si è manifestata anche nel settore infrastrutturale in un miglioramento delle condizioni delle attività della popolazione ma che si basa anche sul fatto che Erdogan è riuscito a dare voce a quegli ampi strati di popolazione conservatrice attaccata ai valori religiosi, che prima non avevano la possibilità di esprimersi in pubblico.








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