2014-12-15 17:11:00

Ostaggi a Sydney: concluso il blitz della polizia


Una giornata segnata dalla paura è stata quella vissuta oggi a Sydney, in Australia dove, per più di 16 ore un uomo, un religioso radicale iraniano, ha tenuto in ostaggio decine di persone in una caffetteria. Il sequestro si è concluso quando a Sydney era notte fonda, con un blitz della polizia in cui sono morte tre persone, il sequestratore e due ostaggi. Quattro i feriti. Per la polizia si tratta di "un'azione individuale", opera di un lupo solitario, che non sembra avere al momento legami con il terrorismo islamico. Il servizio di Debora Donnini:

L’incubo è finito: intorno alle 2 delle notte la polizia ha fatto irruzione nel caffè dopo che il sequestratore ha aperto il fuoco. L'uomo che in mattinata è entrato nella caffetteria facendo decine di ostaggi, è Man Haron Monis, 49 anni, arrivato in Australia nel 1996, dove adottò il titolo di sceicco. Era noto alla stampa per una sua campagna d'odio contro i soldati australiani in Afghanistan: inviò decine di lettere offensive ai familiari dei militari uccisi e per questo più di un anno fa venne condannato a 300 ore di servizi sociali. L'uomo era stato anche accusato di aver molestato alcune donne. A novembre dello scorso anno era stato accusato di aver organizzato, insieme alla sua attuale moglie, l'omicidio della sua ex consorte, Noleen Pal. Attualmente era in libertà provvisoria ed era atteso in tribunale il prossimo febbraio per rispondere delle accuse di violenza sessuale.  Ferma condanna è arrivata dal Gran Mufti d’Australia e da 40 organizzazioni musulmane presenti nel paese. Nel corso della giornata Monis aveva chiesto un incontro con il premier australiano Tony Abbott e che gli fosse consegnata una bandiera dello Stato Islamico.

 

Durante il sequestro, l'uomo aveva esposto un drappo nero con una scritta in arabo. In questo quadro, quanto incide dal punto di vista mediatico l’esposizione della bandiera nera che rimanda al sedicente Stato Islamico (Is)? Risponde Dario Fabbri, consigliere redazionale della rivista di geopolitica Limes, nell'intervista di Giada Aquilino:

R. - Evidentemente incide molto. Il fatto stesso che la bandiera sia divenuta oggetto di dibattitto e che sia stata rilanciata da tutti i media internazionali ci dà un po’ il metro di quanto, in questo momento, il terrorismo islamico o sedicente tale sia destinato ad avere una risonanza globale. Del resto non può essere altrimenti, specie nelle società occidentali, quindi anche la nostra, dove un po’ tutto si aspettano - e speriamo che non sia così - il ritorno di guerriglieri che hanno combattuto al fronte in Siria o che sono stati radicalizzati sul territorio, per poi agire nelle nostre società in maniera terroristica. Nel caso specifico di Sydney, è impossibile ovviamente stabilire se si tratti - come sembrerebbe per altro - di un lupo solitario locale piuttosto che di un ex miliziano. In ogni caso, l’impatto che questa vicenda sta avendo a livello internazionale ci dà la sensazione di come tutte le nostre società occidentali siano in questo momento ipersensibili alla minaccia terroristica di stampo islamico.

D. - Che legami ci possono essere tra l’Australia e l’estremismo del sedicente Stato Islamico di Iraq e Siria?

R. – Sappiamo, perché ce lo dicono le autorità australiane, che ci sono tra i cento e i duecento cittadini australiani di origine mediorientale che hanno partecipato o stanno partecipando alla costruzione, alle battaglie dello Stato Islamico. È interessante rilevare a riguardo che gli ultimi mesi le autorità australiane hanno ritirato più di 50 passaporti, cioè li hanno annullati proprio per impedire a chi è andato all’estero a commettere questo tipo di azioni di ritornare in patria. Un altro dato interessante è che nelle ultime ore c’è stata un’azione antiterrorismo molto ampia a Sydney, che ha portato all’arresto di diverse persone. Sempre negli ultimi giorni, i vertici dello Stato Islamico in alcuni videomessaggi hanno invitato proprio i loro adepti in Australia ad effettuare azioni terroristiche.

D. - Su certi siti arabi si sono letti commenti di solidarietà con il sequestro di Sydney. È uno degli effetti della strategia comunicativa dell’Is?

D. - Senza dubbio. Abbiamo scoperto in questi mesi quanto gli esponenti dello Stato Islamico siano abili, capaci ad utilizzare i social network e in generale a muoversi nella rete telematica. Non può quindi rappresentare una sorpresa immaginare che moltissime persone, o comunque un numero rilevante di queste, stia esprimendo solidarietà se non addirittura ammirazione per quanto sta accadendo a Sydney.

D. - Invece una dura condanna al sequestro è arrivata dal Gran Mufti di Australia. Quanto servono queste prese di posizione del mondo islamico?

R. - È difficile dirlo, perché comunque il Gran Mufti ha evidentemente una presa soprattutto sugli islamici moderati, sulle persone che guardano all’Islam semplicemente come un fenomeno spirituale, molto meno fondamentalista e politico di come invece lo interpretano i leader dello Stato Islamico, che si rivolgono ad una massa radicalizzabile o già radicalizzata da questo punto vista. Però è evidente che questi due ‘campi’ si incontrano nel momento in cui il sedicente Califfo e il sedicente Stato Islamico si propongono come leader indiscussi dell’umma, dell’ecumene islamica. Questa è dunque un’offensiva del tutto ideologica che pone lo Stato Islamico in contrasto con tutti i principali Stati arabi e musulmani, ma anche con tutte le autorità religiose islamiche. Tutto ciò evidentemente è una ragione in più per condannare azioni che sono già di per sé criminose.








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