2014-12-13 15:00:00

Mondiale scacchi sacerdoti. Vince p. Gennaro Cicchese


Un saio francescano contro un clergyman, l’uno seduto di fronte all’altro, in mezzo una scacchiera e il silenzio della più intensa concentrazione. È l’“icona” della seconda edizione della “Clericus Chess World Championship”, il mondiale di scacchi per sacerdoti e religiosi svoltosi ieri e oggi a Roma presso l’Istituto dei Marianisti di Viale Manzoni, organizzato da Giuseppe Sgrò, piscologo e docente della Scuola dello sport del Coni, che ha moderato le conferenze sul tema a margine del campionato. A laurearsi campione mondiale e italiano è stato padre Gennaro Cicchese, missionario Oblato di Maria Immacolata, che al microfono di Alessandro De Carolis parla della nuova edizione e del rapporto che lega gli scacchi al mondo ecclesiale:

R. – E’ una competizione aperta a giocatori di vario livello, che vengono da tutto il mondo: italiani, croati, filippini e un gruppo di polacchi, venuto apposta da Varsavia per partecipare a questa edizione.

D. – Al Campionato è legata una Conferenza che tratta di un aspetto forse ancora poco sperimentato, ma di grande valenza pedagogica, e cioè gli scacchi a scuola. Quali sono gli stimoli che un bambino può trarre dal gioco degli scacchi?

R. – Lo stimolo più grande lo ricordo con una citazione di un filoso, di Pascal: "Gli scacchi sono la palestra della mente". Quindi, un bambino può evidentemente esercitarsi con la mente, ma non solo con la mente, perché i bambini vanno attratti anche con il movimento, con il gioco. Una delle cose più importanti che si è scoperta attualmente è proprio farli lavorare sulla psicomotricità - su scacchiera gigante, per esempio - e l’interdisciplinarietà, che sono degli aspetti preziosi di questo gioco. E poi sulla possibilità, appunto, di aprire un nuovo rapporto tra insegnante e alunno, perché gli scacchi da questo punto di vista riescono a tradurre e polverizzare le difese, le rigidità che si possono creare a questo livello.

D. – In che rapporto sono la Chiesa e gli scacchi?

R. – E’ un rapporto abbastanza complesso. All’inizio anche di contrarietà, di difficoltà di rapporto, perché molti giocatori si dedicavano troppo al gioco degli scacchi, essendo anche sacerdoti, cardinali, e questo li allontanava dai loro impegni. Allo stesso tempo, sono stati proprio questi giocatori i primi teorici, quelli che hanno scritto i primi libri sul gioco degli scacchi e che lo hanno in qualche modo propagandato. Ultimamente, la "scomunica" nei confronti degli scacchi è venuta meno: si è trovato un nuovo equilibrio e ci sono molti sacerdoti e religiosi che si dedicano appunto a questa attività, e io credo con un grande beneficio personale e anche con una grande possibilità di relazioni con altre persone.

D. – Lei parlava di beneficio personale: lei è un sacerdote, un maestro scacchista, che unisce, per così dire, "missione" e "passione". Che legame esiste questi due aspetti all’apparenza così lontani?

R. – Non sono proprio così lontani, perché in fondo gli scacchi sono un po’ l’esperienza stessa della vita. Yuri Kasparov, uno degli ultimi campioni del mondo di scacchi, diceva che la vita in qualche modo imita gli scacchi, perché ci sono tanti aspetti nei quali gli scacchi in effetti ci insegnano tante cose: la strategia, la tattica e quindi la possibilità di affrontare i problemi in maniera nuova, in maniera diversa. Io personalmente ho riscoperto gli scacchi in un momento anche di aridità spirituale, perché gli scacchi sono bellezza, sono arte, sono logica, sono impegno e sono anche divertimento. E questo aspetto del gioco mi ha ridato anche la voglia di affrontare in maniera nuova la vita, con un nuovo slancio, anche perché come diceva Lasker – un grande campione – la vita è lotta e quindi bisogna lottare fino alla fine.

D. – Voi come organizzatori avete voluto anche informare Papa Francesco di questa vostra iniziativa…

R. – Sì, certamente, gli abbiamo dato una lettera, abbiamo documentato di questo mondiale per i religiosi e sacerdoti e in tutta risposta il Papa ci ha invitato all’udienza generale. Nella lettera gli abbiamo chiesto di poter benedire questa iniziativa e di fare anche lui la prima "mossa".

D. – E che tipo di benedizione pensate possa giungere attraverso questa mossa?

R. – Può incoraggiare noi sacerdoti, anche il mondo dei giovani, il mondo dei ragazzi legato a noi, in qualche modo a favorire questo sport della mente, ma anche di tutta la persona. E per vivere anche quello che è il motto del gioco e della Federazione internazionale degli scacchi, che dice “Gens una sumus”, siamo una gente, un popolo solo. E in questo clima di cultura dell’incontro e del dialogo, penso che un motto più bello di questo non ci possa essere.








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