2014-11-26 13:19:00

Ue: Juncker, piano per 315 miliardi. Fondi governi fuori dal Patto


Un piano per “stimolare” gli investimenti, che in Europa sono “370 miliardi sotto il livello pre-crisi”. Così il neopresidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker, ha presentato, alla plenaria del Parlamento europeo di Strasburgo, un programma fondato su 21 miliardi di capitale pubblico, che dovrebbero a loro volta mobilitare complessivamente 315 miliardi di investimenti e rimettere - nelle parole di Juncker - “l’Europa al lavoro”. In quale modo? Giada Aquilino ha rivolto la domanda all’economista Francesco Carlà, presidente di "Finanza World", sito di informazione finanziaria:

R. - Con un effetto leva piuttosto complicato, che prevede l’intervento degli Stati membri e poi a cascata dei privati. Ci sono molte incognite sull’effettività della realizzazione di questi piani, perché i soldi veri sono appunto solo di 21 miliardi: 16 dal bilancio della Commissione e 5 dai fondi della Bei, la Banca europea per gli investimenti. Non sono certamente molti a livello europeo.

D. - I Paesi membri hanno quindi fondi da mettere in moto? Juncker ha detto che i contributi degli Stati non verranno conteggiati nei parametri fissati dal Patto di stabilità…

R. - Naturalmente alcuni Stati membri ne hanno di più, altri ne hanno di meno. È la solita situazione, la solita "non simmetria" della condizione dei Paesi membri sia dell’Euro, sia della Ue.

D. - Gli investimenti in Europa, ha stimato Juncker, sono 370 miliardi sotto il livello pre-crisi. Perché tanta differenza?

R. - Perché i privati hanno smesso di investire e perché gli Stati non sono in grado di investire: hanno troppo debito, troppo deficit. I privati non vogliono investire né a livello di consumatori, né a livello di imprese a causa delle condizioni politico- finanziarie degli ultimi quattro anni in Europa.

D. - L’Italia con il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ha commentato che il piano di Juncker è un “primo passo” verso la capacità di tornare a produrre crescita ed occupazione. Su questi due punti cosa produrrà tale progetto?

R. - Bisognerà vedere come funziona operativamente la creazione di questi progetti. Da quello che si legge, verranno affidati ad esperti non meglio identificati. C’è il rischio che andranno a finire nelle burocrazie europee dei singoli Stati membri, quelle stesse burocrazie che in molti casi, in Italia in particolare, hanno significato perdere molte occasioni, com’è successo con i fondi europei tornati a Bruxelles. Non vorrei dare l’impressione di essere troppo negativo, però il fatto che si tratta solo di 21 miliardi di soldi veri a livello europeo, quindi da dividere tra Stati membri dell’Ue, non rassicura particolarmente. Gli "eurobond" di cui si era tanto parlato negli anni sono decisamente un’altra cosa.

D. - A riprova, la Germania chiede di specificare e identificare i progetti "ad hoc" di questo piano…

R. - La Germania, che è una delle ispiratrici fondamentali di questo piano, da una parte ha capito che non può tirare troppo la corda, per via della deflazione, della crisi di domanda che arriva da tanti Paesi come l’Italia e che si ripercuote anche sulla Germania. Dall’altra, ha delle condizioni politiche interne per cui non può più di tanto allentare sui "dogmi" di questi anni provenienti dal nord Europa. Credo che quindi alla fine dovremmo vedere come si svilupperà il Piano dal punto di vista operativo.








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