2014-11-19 13:15:00

Papa: Medio Oriente, violenza inaccettabile, servono decisioni coraggiose


“Episodi inaccettabili di violenza”. Così Papa Francesco all'udienza generale in Piazza San Pietro riferendosi all’attentato di ieri mattina presso una sinagoga di Gerusalemme, in cui sono morte sette persone. Guardando al contesto mediorientale in cui cresce la tensione tra palestinesi e israeliani, il Papa ha lanciato un vibrante appello per il mantenimento e costruzione della pace, sottolineando la necessità di “decisioni coraggiose”. Ascoltiamo la sua voce nel sevizio di Massimiliano Menichetti:

"Seguo con preoccupazione l’allarmante aumento della tensione a Gerusalemme e in altre zone della Terra Santa, con episodi inaccettabili di violenza che non risparmiano neanche i luoghi di culto".

Il Papa prega per le vittime dell’attentato alla Sinagoga a Gerusalemme e per quanti ne soffrono le conseguenze parla di situazione “drammatica”, poi “dal profondo del cuore” lancia il suo appello:

"Rivolgo alle parti implicate un appello affinché si ponga fine alla spirale di odio e di violenza e si prendano decisioni coraggiose per la riconciliazione e la pace. Costruire la pace è difficile, ma vivere senza pace è un tormento!".

Oggi, i fedeli sono tornati a pregare nel tempio del sobborgo Har Nof di Gerusalemme violato ieri, dalla ferocia di due palestinesi. Morto nella notte un poliziotto ferito, sono sette ora le vittime dell’assalto, compresi gli attentatori. La tensione sul territorio è altissima, Hamas parla di “atto eroico" del Fronte popolare per la liberazione della Palestina che ha rivendicato l’attentato, mentre il premer dello Stato ebraico, Netanyahu, promette una risposta dura. Questo nonostante il presidente dell’Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen, abbia condannato la tragedia insieme a tutta la comunità internazionale. Intanto, alcuni osservatori parlano di rischio di una terza Intifada:

Ai nostri microfoni il direttore della rivista "Oriente Moderno", Claudio Lo Jacono:

R. – Il rischio è la ripresa di azioni terroristiche intense anche suicide, che erano state per alcuni anni accantonate dai movimenti più estremisti del fronte palestinese, come Hamas, il Fronte popolare e l’Associazione per il jihad islamico. Questo è il rischio grave. E naturalmente a ogni azione e a ogni reazione non si sa mettere poi fine. Non c’è un terzo in grado di imporre la pace a tutti i costi e la soluzione più logica, cioè quella di due Stati per due popoli.

D. – C’è chi dice che Israele abbia delle grandi responsabilità. Come vede lei la situazione a ora?

R. – Pessimisticamente. E l’ho vista pessimisticamente nel momento stesso in cui il governo Netanyahu ha deciso di autorizzare la costruzione di nuovi insediamenti per i coloni. Questo è un fatto che per i palestinesi e per molti osservatori è inaccettabile in un percorso che voglia arrivare a una conclusione pacifica, come tutti si augurano.

D. – C’è il rischio anche del riaccendersi delle violenze con la risposta dura di Israele?

R. – Sì. Abbiamo dei precedenti che non tranquillizzano minimamente. Sappiamo che Israele ha come principio quello della ritorsione, legittimata ai suoi occhi e anche agli occhi di tanti osservatori da un atto violento, tra l’altro perpetrato in un luogo di culto. Il discorso poi riguarderà la proporzione di questa ritorsione.

D. – Sembra che non si riesca mai ad arrivare ad un punto…

R. – Purtroppo è così. Dal 1948, assistiamo ad una crescita sempre maggiore, salvo pochissimi momenti ottimistici, dell’oltranzismo. La soluzione dei due Stati e dei due popoli, che era prevista ad Oslo, sembra una dichiarazione assolutamente di pura buona volontà, ma non c’è nessuno in grado – né gli Stati Uniti né l’Europa e né la Russia – di premere sui due contendenti. Oggi, siamo in presenza di un governo fortemente di destra in Israele e dall’altra parte ci sono organizzazioni come Hamas, l’Organizzazione per il jihad islamico e il Fronte popolare che sono assolutamente al di fuori di qualsiasi controllo dell’Anp, dell’Autorità nazionale palestinese. Io credo profondamente che la spaccatura, che si è espressa anche in termini di scontro civile tra le due anime dei palestinesi, abbia espresso una parte relativamente più moderata, che mira certamente alla nascita di uno Stato, e una parte più oltranzista, che non ha alcuna difficoltà ad usare anche la popolazione come scudo. Credo sia uno scontro tra oltranzismi oramai…

D. – E che manovrabilità ha in questo scenario l’Autorità nazionale palestinese, che non viene vista – sembra – come un interlocutore neanche da Netanyahu, il premier israeliano?

R. – Certo, perché naturalmente nel momento in cui l’Autorità nazionale palestinese non riesce a controllare tutti i territori di sua pertinenza, nel momento in cui non riesce a tenere un congresso per una serie di attentati, quasi sicuramente portati contro l’Autorità nazionale palestinese da Hamas, quello che decide ha una estensione limitata. Dunque, il governo israeliano si fa forte – diciamo – di questa strisciante guerra tra Hamas e Fatah, cioè dall’Autorità nazionale palestinese. L’auspicio è che vengano delle persone più ragionevoli su entrambi i fronti… Il discorso è che se si vuole arrivare ad una pace, si deve essere in due e si debbono fare concessioni. Non si devono soltanto esprimere parole vuote, che restano poi inapplicate.








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