2014-11-10 13:10:00

Scaglione: ancora troppi muri in Europa, servono scelte coraggiose


A 25 anni dalla caduta del Muro di Berlino sono ancora tanti i muri in tutto il mondo che separano i confini, minando i diritti fondamentali delle persone e dividendo famiglie e comunità. Da Israele alla Corea, dal Messico a Cipro: chilometri di odio, cemento e filo spinato. Sull’argomento Corinna Spirito ha intervistato Fulvio Scaglione, vicedirettore di Famiglia Cristiana ed esperto di politica estera:

R. - Mentre ricordiamo e festeggiamo i 25 anni della caduta del Muro di Berlino, non dovremmo dimenticare che in Europa e nel mondo - ma diciamo più direttamente per quel che riguarda noi in Europa - resistono molti altri muri: a Belfast, c’è addirittura una serie di muri, sono un centinaio di pezzi di muro; a Cipro, dal 1974, c’è un altro muro - se anche lì viene chiamato “linea verde” - per dividere le comunità turche e quelle greche; e poi ci sono altri muri anche nell’ex Jugoslavia, dove - anche lì - c’è un cumulo di rancori che si riuscirà a smaltire solo con molto tempo; il muro di Mitrovica, nel Kosovo, per dividere la comunità serba da quella kovosara; e poi a Mostar, in Bosnia Erzegovina… Insomma, il muro come istituzione politica è di gran moda.

D. - In un mondo sempre più aperto e internazionalizzato i muri che continuano a nascere sono un po’ un paradosso?

R. - Lo sono! E sono una risposta politica facile, ma fragile. D’altra parte dobbiamo riflettere su un fatto, secondo me: il Muro di Berlino è durato 28 anni e noi stiamo già parlando del 25.mo anniversario della sua scomparsa, quindi chiaramente la risposta politica che si dà ad un problema con la costruzione di un muro è una risposta fragile, provvisoria e neanche nel lungo tempo, è perdente…

D. - Eppure ci sono muri che durano ormai da tantissimo, pensiamo a quello tra le due Coree…

R. - Sicuramente. Ma anche lì sono situazioni che non hanno più senso, alla luce di come si è sviluppato il mondo, perché va detto che il Muro di Berlino, che prendiamo come esempio di tutti i muri, come l’esempio più clamoroso, quando è crollato ha sì sommerso e abbattuto il sistema comunista, ma ha cambiato anche il nostro mondo: ha spalancato le porte a quella che poi avremmo chiamato “globalizzazione”, ma che in realtà è una più libera circolazione delle idee, delle merci e delle persone. Questi muri - e quello della Corea è forse l’esempio attuale più clamoroso - sono una sopravvivenza del passato.

D. - E allora possiamo dire che dalla storia non si impara mai? Nonostante la lezione del Muro di Berlino continuiamo ad avere barriere in casa nostra: Cipro è nell’Unione Europea…

R. - Sì, sicuramente. Poi, tra l’altro, anche con il nuovo stato sia economico che politico che ha ottenuto la Turchia nel frattempo, che poi si preoccupi di avere una qualche influenza su Cipro fa un po’ ridere…. C’è anche da dire una cosa a giustificazione dei politici contemporanei: spesso i problemi spuntano e diventano così clamorosi che veramente le risposte non si riescono a trovare in tempi brevi. Allora tirar su un muro può sembrare il tampone messo ad una falla. Quando nel novembre del 1989 cadde il Muro, pochi giorni dopo in Italia fu approvato il Decreto Martelli per la regolamentazione dell’immigrazione: e lo dico perché molti di questi muri contemporanei, quelli che vengono costruiti oggi o che sono progettati, sono fatti proprio per contrastare il problema dell’immigrazione. Questo per dire che, mentre il Muro di Berlino veniva giù tante altre cose venivano su: per esempio il problema dell’immigrazione…

D. - Un problema che è proprio alla base del "Muro della vergogna" tra gli Stati Uniti e il Messico, che continua sempre più ad ampliarsi…

R. - Sì, esattamente! Nasce e si espande perché il problema dell’immigrazione è un problema reale e non può essere risolto a colpi di slogan, ma di fronte al quale la politica risulta impotente, incapace di elaborare delle soluzioni che siano efficaci in tempi rapidi. Allora che cosa si fa? Si tira su un muro! Ma questa non è una soluzione, è semplicemente la negazione del problema. E come tutte le negazioni dei problemi, prima o poi e più spesso prima che poi, vengono travolte dalla forza del problema stesso.








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