2014-11-07 15:30:00

Libia senza parlamento, sciolto dalla Corte suprema


Profonda preoccupazione per la situazione  in Libia è stata espressa oggi in un comunicato congiunto da molti paesi occidentali tra i quali gli Stati Uniti, l’Italia, la Gran Bretagna,  che tengono sotto osservazione la decisione di ieri della Corte Suprema che ha sciolto il parlamento di Tobruk, eletto il 25 giugno scorso accogliendo quindi il ricorso dei deputati islamici, opposti al governo provvisorio, e che avevano mantenuto in piedi a Tripoli l’ex assemblea. Il Paese è quindi sempre più spaccato e nel caos e rischia di precipitare in una guerra civile. Corinna Spirito ne ha parlato con Arturo Varvelli, esperto dell’Ispi, l’Istituto per gli Studi della politica internazionale:

R. – La sentenza della Corte libica di fatto non cambia sostanzialmente il quadro sul campo, che è altamente difficile all’interno della Libia. Non lo cambia perché in realtà abbiamo già una fortissima polarizzazione tra almeno queste due forze: da una parte il campo del parlamento, attualmente residente a Tobruk, e dall’altro le forze che invece occupano la capitale. Io penso che a questo punto la comunità internazionale abbia una possibilità, che forse prima non aveva, e che è quella di non prendere parte per alcuna posizione. Prima le Nazioni Unite prendevano una posizione che era naturalmente quella vicina al governo, che noi pensavamo legittimo, di Tobruk – che  tuttavia aveva già una bassissima legittimità perché era un parlamento eletto soltanto dal 18% della popolazione e che non aveva il controllo delle istituzioni, della Banca centrale né della capitale. Il problema, quindi, rimane quello della legittimità che andrebbe ricostruita dalle fondamenta, in Libia. E la comunità internazionale deve tenere presente questo. Non deve attribuire legittimità a una delle due parti, commettendo in qualche misura l’errore che era stato fatto fino ad adesso, ma deve aiutare i libici stessi a costituirne una nuova, partendo dal fatto che si devono riconoscere tutti gli attori che sono in campo, o la maggior parte di questi, escludendo naturalmente le forze jihadiste, come attori legittimi a partecipare alla nuova Libia. Se così non avverrà, la Libia è destinata a essere un “buco nero” nel Mediterraneo, per diversi anni.

D. – Sia Federica Mogherini sia Paolo Gentiloni, però, hanno dichiarato che un intervento dell’Onu sia necessario. Cosa ne pensa?

R. – Questa non è un’osservazione sbagliata, assolutamente. C’è necessità di un intervento dell’Onu – e di un intervento più forte di quanto non si abbia ora – o, diciamo, un proseguimento, un rafforzamento di quanto sia stato fatto finora. Per adesso, sia Gentiloni sia Mogherini si sono espressi in termini molto generici su una preoccupazione che la Libia diventi realmente un problema ancora maggiore di quanto appaia oggi. Sono naturalmente preoccupazioni sul Paese altamente condivisibili, che noi osservatori internazionali condividiamo ormai da diverse settimane, se non da diversi mesi o anni del Paese, che ha preso certamente un declivio bruttissimo. Sostanzialmente, non si tratta di un intervento armato risolutivo che parteggi da una parte, che possa risolvere questa situazione, ma è creare le condizioni di contesto internazionale perché i libici possano parlarsi tra di loro. Questo naturalmente presuppone che la comunità internazionale sia capace di parlare con una sua voce, cosa che oggi non vediamo, perché vediamo ancora potenze esterne come Turchia da una parte ed Egitto dall’altra che sponsorizzano una parte sull’altra. Fin quando questo avverrà – perché ognuno ha naturalmente interessi strategici molto diversi sul Paese, alcuni anche legittimi, ma che non vengono mediati con altre potenze – i libici non avranno nessun vantaggio e nessuna pressione per far sì che possa avvenire realmente una soluzione mediata e politica.

D. – La situazione attuale quali conseguenze può avere dal punto di vista economico sia sulla Libia, ma anche su di noi, sull’Italia e sull’Europa?

R. – Italia ed Europa hanno due preoccupazioni fondamentali. Una è una questione legata all’immigrazione e la seconda è una questione legata all’energia. E’ inutile negate che la Libia sia un Paese strategico da questo punto di vista, e bisogna anche ricordare che l’Italia, in particolare, ha i maggiori interessi, non tanto in Cirenaica quanto maggiormente in Tripolitania, che adesso è sotto le forze di Misurata e di Tripoli. Quindi, il nostro interesse è avere il controllo sui nostri contratti in essere e di avere una Libia stabile il più possibile, perché questo naturalmente ci permette anche di arginare in parte il fenomeno immigratorio. Maggiore instabilità abbiamo, maggiori problemi avremo nel prossimo futuro, compreso quello di chi controlla la Banca centrale, perché le due fazioni non solamente si contendono il governo del Paese, ma naturalmente si contendono la capacità di introiti che fornisce la Banca centrale.








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